Smart working, dopo giugno solo il 15% delle imprese permetterà il lavoro a distanza in una città diversa dalla sede aziendale

Secondo un’indagine dell’Associazione italiana per la direzione del personale quasi 9 aziende su 10 sono disponibili ad utilizzare il lavoro da remoto dopo la deadline del 30 giugno. Solo il 15% però è disposto a far lavorare gli smartworker nelle loro città di origine. Una scelta che potrebbe penalizzare soprattutto i laureati del sud.

I giovani puntano sempre di più sullo smart working ma le aziende fanno sempre più fatica ad accogliere le loro richieste di lavorare da remoto in altre regioni rispetto alla sede aziendale. È quanto emerge da un’indagine dell’Aidp, l’Associazione italiana per la direzione del personale, pubblicata nei giorni scorsi da Repubblica dove si evince che quasi 9 aziende su 10 continuerà ad utilizzare il lavoro a distanza per uno o più giorni alla settimana anche dopo il 30 giugno, ovvero quando si concluderà la fase emergenziale legata alla pandemia sui luoghi di lavoro.

Un dato però, quello di uno smart working molto utilizzato e diffuso, che non deve trarre in inganno. Rispetto al periodo più intenso e difficile della pandemia le aziende non sembrano più essere disposte a dare delle concessioni a cominciare dalla distanza dal luogo (fisico) di lavoro. Infatti, se il 75% delle aziende non intende predisporre alcun tipo di controllo da remoto per gli smartworker, ma solo il 15% consentirà ai dipendenti che vivono in altre regioni di continuare a lavorare da remoto, contro il 58% che non intende farlo e il 28% che ci sta ancora riflettendo. Nonostante però il 58% delle aziende confessi di avere difficoltà ad assumere o trattenere i dipendenti, se non viene garantito loro lo smart working.

La richiesta di continuare a lavorare nella propria città viene soprattutto da una fascia di giovani laureati (tra i 18 e i 35 anni), in prevalenza del sud. “Il dato che emerge dalla nostra indagine e che dà maggiore speranza è quel 75% di aziende che non intende controllare i lavoratori da remoto. – ha detto a Repubblica Matilde Marandola, presidente Aidp – Significa che la fiducia sta diventando la base delle relazioni di lavoro. Credo che i direttori del personale e i manager debbano cominciare a mettersi in discussione, ascoltando le esigenze delle persone che sono tutte diverse, perché comunque accanto a chi vuole lavorare nella propria città di origine, c’è anche chi vuole lavorare in azienda senza neanche un giorno di smart working. Non è un caso, rileva Marandola, che a chiedere di lavorare da remoto al 100% o quasi siano giovani e brillanti laureati, magari con buone retribuzioni, competenze elevate e carriere di tutto rispetto. I giovani hanno una maggiore sensibilità ai temi di responsabilità sociale, e hanno anche ampie competenze digitali”.

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