Secondo l’indagine 2018 solo in matematica i quindicenni italiani risultano in media con gli altri Paesi; per il resto l’Italia è abbondantemente sotto e addirittura tra il 23esimo e il 29esimo posto per capacità di lettura. Si confermano il divario tra Nord e Sud, tra maschi e femmine e tra licei e istituti professionali
Sanno distinguere tra fatti e opinioni quando leggono un testo di un argomento a loro non familiare? Un quindicenne su venti riesce a farlo. La media Ocse è di uno su dieci. Mentre gli studenti che hanno difficoltà con gli aspetti di base della lettura sono uno su quattro: non riescono ad identificare, per esempio, l’idea principale di un testo di media lunghezza.
Il test Ocse-Pisa sulla comprensione di un testo. Ecco la prova che gli studenti italiani non superano. Niente da fare, dunque. I ragazzi italiani non migliorano nella capacità di leggere e comprendere un testo, un’emergenza nota da tempo e che era già emersa anche nell’ultimo rapporto Invalsi sugli studenti di terza media. Se si guarda alle superiori, siamo sempre sotto la media nel confronto internazionale. E peggioriamo rispetto a rilevazioni di dieci anni fa o del 2000.
Un campanello di allarme che risuona dalla nuova indagine Ocse-Pisa 2018 che valuta le competenze dei 15enni rispetto alla lettura, la matematica e le scienze. A rappresentare una popolazione totale di 32 milioni di studenti quindicenni di tutti i 79 paesi ed economie partecipanti a questa edizione – presentata oggi – sono circa 600mila studenti che hanno fatto il test, tutti per la prima volta a computer, della durata di due ore. In Italia, 11.785 studenti hanno sostenuto la prova, rappresentativi di una popolazione di circa 521.000 studenti quindicenni.
Test Invalsi, il 35% degli studenti di terza media non capisce un testo d’Italiano. E al Sud 8 su 10 in ritardo sull’Inglese.
I risultati confermano i miglioramenti degli studenti italiani in matematica. Rimangono invece sotto la media Ocse per la lettura, definita come la capacità di comprendere, utilizzare, valutare, riflettere e farsi coinvolgere da un testo. E peggiorano le capacità nelle scienze. Si confermano inoltre il divario tra Nord e Sud, tra licei e professionali – qui il gap fa impressione – e le differenze di genere. Risultati che fanno dire ad Anna Maria Ajello, presidente Invalsi, che “non scatta una presa in carico del problema rispetto alla lettura di dati che, al contrario, devono preoccupare”.
Il punteggio dell’Italia nella lettura è di 476 contro 487 della media Ocse. Il nostro Paese si colloca tra il 23° e il 29° posto tra i paesi Ocse. Un dato abbastanza stabile rispetto all’ultima rilevazione del 2015 (485) sebbene all’interno dello stesso range ci sia uno scivolamento verso il basso invece che passi in avanti. Se si guarda indietro, inoltre, i nostri ragazzi sono peggiorati: meno 11 punti rispetto al 2000 e meno 10 punti rispetto a dieci anni fa (2009) nelle competenze di lettura.
L’Italia è a livello di Svizzera, Lettonia, Ungheria, Lituania, Islanda e Israele. Le province cinesi di Pechino, Shanghai, Jiangsu, Zhejiang, oltre a Singapore ottengono un punteggio medio superiore a quello di tutti i paesi che hanno partecipato alla rilevazione. La novità è che per la prima volta sono state introdotte letture tratte anche da testi digitali per testare le conoscenze della generazione Z, nata nel 2004, che legge e s’informa sul web. In generale, gli studenti italiani sono più bravi nei processi di comprensione (478) e di valutazione e riflessione (482), se la cavano peggio nell’individuare informazioni (470). Non è una novità, ma sulle capacità di lettura si conferma il divario tra Nord e Sud: gli studenti delle aree del Nord ottengono i risultati migliori, al di sopra della media Ocse (Nord Ovest 498 e Nord Est 501), mentre i loro coetanei delle aree del Sud sono quelli che presentano le maggiori difficoltà (Sud 453 e Sud Isole 439).
Saltano agli occhi anche le differenze tra liceali, che ottengono i risultati migliori (521) e i ragazzi degli Istituti tecnici (458) e professionali (395) e della formazione professionale (404). Nei licei troviamo la percentuale più elevata di studenti che raggiungono i livelli più alti, definiti come top performer: sono il 9% contro il 2% dei tecnici. Chi raggiunge il livello minimo di competenza nella lettura è l’8% nei licei, percentuale che sale al 27% nei tecnici. Non raggiunge il livello 2 – quello minimo – almeno il 50% degli studenti degli Istituti professionali e della Formazione professionale.
In lettura le ragazze superano i ragazzi di 25 punti; nel Nord-Est e nel Sud Isole il divario arriva a 30 e 35 punti di differenza. Il vantaggio delle ragazze è confermato anche da una presenza maggiore di ragazzi che non raggiungono il livello minimo di competenza: circa il 28% contro il 19%. In Matematica va meglio. Gli studenti italiani hanno ottenuto un punteggio medio (487 – era 490 nel 2015) in linea con la media dei paesi Ocse (489). Un risultato simile a quello di Portogallo, Australia, Federazione Russa, Repubblica Slovacca, Lussemburgo, Spagna, Georgia, Ungheria e Stati Uniti. Anche qui le differenze si fanno sentire confermando una scuola italiana a due velocità. Gli studenti del Nord Est, con un punteggio di 515, e quelli del Nord Ovest, con 514, ottengono risultati migliori – che superano quelli per esempio degli studenti della Finlandia e della Svezia – rispetto agli studenti del Centro (494), del Sud (458) e del Sud Isole (445). In particolare le due province di Trento e Bolzano hanno ottenuto risultati non dissimili dai Paesi scandinavi.
Dal 2009 ad oggi l’andamento dei risultati Pisa in matematica è rimasto costante. Rispetto ai cicli precedenti, la rilevazione del 2018 ha mostrato un miglioramento solo in confronto al 2003 (+21 punti) e al 2006 (+25 punti). Sono i ragazzi, soprattutto quelli che raggiungono i livelli più eccellenti, a superare le ragazze. Nei paesi Ocse, la differenza media tra maschi e femmine in matematica è di 5 punti, in favore dei primi. In Italia questa differenza è più elevata: 16 punti. Peggiora la situazione delle competenze in Scienze: il punteggio è di 468 contro la media Ocse di 489. Nel 2015 era di 481. Insomma, siamo in caduta libera e il problema non è sulle competenze in termini di nozioni scientifiche, ma nelle capacità di applicare il metodo scientifico. “Dobbiamo, a partire da questi risultati, ripensare a come si insegnano le scienze – commenta Roberto Ricci, dirigente di ricerca dell’Invalsi – il tema non è tanto che i nostri ragazzi non sanno, per esempio, i principi della termodinamica, sono in difficoltà nel capire perché sono importanti nella comprensione dei fenomeni che la realtà ci pone”. Una difficoltà che si traduce anche nell’incapacità di distinguere dati di realtà, evidenze scientifiche rispetto a false notizie o impressioni. Più in generale, se si guarda a un periodo più lungo, la media dei risultati in scienze nel 2018 è significativamente inferiore a quella osservata nel periodo 2009-15. L’Italia si colloca in linea con Turchia, Slovacchia e Israele e, tra i paesi partner, Croazia, Bielorussia, Ucraina. Le differenze nei risultati medi tra macro-aree si confermano molto marcate: gli studenti del Nord Ovest e del Nord Est ottengono i risultati migliori con rispettivamente 491 e 497 punti. Seguono gli studenti del Centro con 473 punti, infine troviamo quelli del Sud e del Sud Isole (rispettivamente 443 e 430 punti). I licei ottengono un risultato medio in scienze significativamente superiore (503) a quello di tutti gli altri tipi di scuola e gli Istituti tecnici conseguono un risultato (460) che supera quello degli Istituti professionali (394) e dei Centri di Formazione professionale (408).
Il sistema scolastico non sblocca l’ascensore sociale. Le scuole tendono ad essere frequentate da studenti con lo stesso background socio-economico e culturale, rileva l’indagine. E questo crea un effetto di segregazione. Basti pensare che la varianza dei risultati tra scuole in Italia è del 43% della varianza totale contro il 29% della media Ocse.
A parità di competenze, si rileva una maggiore difficoltà a immaginare il proprio futuro se i ragazzi vengono da condizioni svantaggiate dal punto di vista sociale. Gli studenti eccellenti che vogliono un titolo superiore al diploma sono 9 su 10 se provengono da un contesto socio-economico avvantaggiato; scendono a 6 su 10 se sono socio-economicamente svantaggiati.
E sono forti gli stereotipi di genere che resistono. Le aspettative di carriera degli studenti con i risultati migliori in matematica e scienze lo dimostrano: un ragazzo su quattro prevede di lavorare come ingegnere o come professionista nelle scienze all’età di 30 anni. Tra le ragazze la percentuale è inferiore: solo una su otto immagina così il suo futuro.
“Questi risultati ci preoccupano perché è un problema che ci trasciniamo da troppo tempo”. Per questo “se ora non interveniamo rischiamo di pregiudicare il futuro di una generazione” sottolinea il ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti. I dati, aggiunge, “non sono particolarmente diversi da quelli che abbiamo visto nella precedente rilevazione, ma sono molto peggiori di quelli di una ventina di anni fa. Se paragonati al Duemila”, infatti, “si denota una significativa difficoltà del mondo scolastico italiano” e della “capacità di apprendimento dei giovani. Questo significa che bisogna tornare ad investire con forza nella scuola”. Oggi, continua il ministro, “stiamo risentendo di un paio di decenni di poco interesse sull’istituzione scolastica”, sia “sui finanziamenti” che nella “narrazione sociale”. Per questo “serve un’inversione di tendenza importante: bisogna tornare a parlare di scuola, tornare a volergli bene”, rafforzando anche “il ruolo degli insegnanti”.
“Il rapporto conferma che la povertà educativa è un’emergenza nazionale. Ed è causa principale del tramandarsi dai genitori ai figli di forti disuguaglianze sociali, economiche e culturali, in un quadro di scarsissima mobilità intergenerazionale. Le istituzioni, a partire dal ministero dell’istruzione, investano in una strategia di contrasto a tale fenomeno” dichiara il segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra.
“Siamo un Paese in cui manca il pensiero del futuro. Stiamo perdendo capacità critica, ma la nostra società non se ne occupa. I nostri ragazzi sono sempre meno inclini alla capacità di analizzare le situazioni complesse che si trovano a vivere e affrontare” osserva Michela Montevecchi (M5S), vicepresidente della Commissione istruzione. Save the Children parla di “fotografia impietosa della povertà educativa in Italia e mettono in luce la crisi del sistema di istruzione e l’incapacità del sistema scolastico di contrastare e superare le disuguaglianze educative”.
larepubblica
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