“Il modello dell’educazione di oggi è quello di Tempi moderni, di Charlot che fa l’operaio e esegue un solo gesto: prendere la chiave inglese e girare un bullone. L’ideale del nostro bell’ideologo-intellettuale-riformatore dell’educazione è proprio “formare” qualcuno che fa una sola cosa, e la fa senza pensare. Un modo di mortificare la ricchezza della natura umana. E la democrazia viene uccisa”. Sono le parole dello storico e critico d’arte, Salvatore Settis che, in una lunga intervista rilasciata a Linkiesta, analizza le attuali tendenze dell’educazione e della formazione in Italia, ultima la riforma della Buona Scuola che, secondo Settis, “non è poi così buona”.
Un eccesso di specializzazione, di competenze e non di conoscenze: “Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole. Ci vuole una visione collegata col senso della comunità (come del resto è scritto nella nostra Costituzione, che stiamo via via dimenticando) – spiega l’ex direttore della Normale di Pisa – E poi non c’è conoscenza senza sguardo critico, cioè senza il dubbio. La scuola ci insegna delle cose, ma dovrebbe soprattutto insegnarci a dubitare di quello che essa stessa ci insegna”.
Riforme portate avanti a suon di slogan, da quelli berlusconiani (inglese, impresa, internet) a quelli dell’attuale premier (La Buona Scuola, appunto): “L’uno e l’altro slogan sono stati usati in modo superficiale e cinico per sostituire la sostanza. L’etichetta del brandy di lusso mentre nella bottiglia c’è quello del discount. Stesso discorso per il nostro presidente del Consiglio che ama la “Narrazione”. Narrare (in altri termini: raccontare balle) per persuadere gli ingenui. Basta parlare con qualche professore per accorgersi che la cosiddetta “buona scuola” non è una scuola buona: sono in condizioni di grave difficoltà da tutti i punti di vista”.
E sulla valutazione, a tutti i livelli, e l’eccesso di burocratizazzione del mestiere di insegnante, Settis ammette: “La burocratizzazione del mondo avanza mentre gli stessi governanti continuano a dirci che stanno facendo una lotta dura e senza paura contro la burocrazia. Il fatto di dover riempire mille moduli, dover scrivere mille sciocchezze: è come se non ci si fidasse della responsabilità dell’essere umano. Un professore si giudica dai risultati, da come fa lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca. Che poi viene spesso valutata male”.
Una battuta poi in risposta a coloro che insinuano che gli insegnanti rappresentino una categoria privilegiata, benedetta da fin troppe pause e vacanze: “Il lavoro intellettuale non si può quantificare o conteggiare. Tra i famosi “otium” e “negotium” non c’è soluzione di continuità. Un insegnante non deve essere valutato in base alle ore che fa di lezioni frontali. Chi le prepara? E il tempo che uno ci mette a prepararle chi lo conteggia?”.
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