Professione ricercatore…anche d’estate

Nonostante le proteste il ddl Gelmini va avanti per la sua strada. E mentre il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca lo difende sostenendo che il decreto “riforma completamente il sistema universitario italiano ed elimina sprechi e privilegi puntando sul merito”, i ricercatori continuano la loro battaglia per il riconoscimento del proprio status giuridico. Ma con l’estate che avanza il rischio è di cadere “nel dimenticatoio” delle proteste.

Alessandro Arienzo. Gianfranco Bocchinfuso. Blasco Morozzo della Rocca. Professione: ricercatori universitari, prestatori di dotta opera in grandi atenei pubblici d’Italia. Per noi divengono: spie. Segugi. Agenti segreti. O, meglio: informatori. Perché tramite loro possiamo informarci (e, di riflesso, immeritatamente informarvi) su cosa diavolo stia succedendo all’interno della classe dei ricercatori italiani. Manifestazioni. Striscioni. Colori. Facebook. Contestazioni. Rabbia. Confusione. Megafoni. Addirittura, blocco della didattica. Tramite le nostre tre erudite (quanto favolosamente disponibili) “teste di cuoio” entriamo nella carne pulsante del problema. Che ha un nome: Gelmini. E una forma giuridica: decreto.
L’oggetto del contendere – Ebbene: la domanda sorge spontanea: ma in questo decreto Gelmini cosa c’è scritto che fa impaurire (ed arrabbiare) così tanto i ricercatori universitari italiani? “Dicono che sia una riforma anti-baroni – afferma convinto l’informatore Gianfranco Bocchinfuso, ricercatore chimico-fisico a Roma Tor Vergata con trascorsi nel Ministero della Difesa – mentre costruiscono una governance d’Ateneo incentrata su un CdA verticistico con il quale delegittimano il Senato Accademico”. “E poi, se è davvero una riforma antibaroni, come mai proprio loro, i baroni, sono gli unici zitti?” si chiede Alessandro Arienzo, ricercatore di storia del pensiero politico alla Federico II di Napoli, che afferma –  “Ma l’aspetto peggiore è la cancellazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato, con la loro sostituzione attraverso un percorso stra-determinato (il 3+3, ndr) che (beffa nel danno) non sostituirà gli attuali archetipi precari, facendo in pratica esplodere la flessibilità inumana all’interno degli atenei”. Non basta: “Con questo decreto – argomenta l’agente Blasco Morozzo, ricercatore biologo anche lui a Tor Vergata – si fanno le nozze con i fichi secchi. È un’operazione di svalutazione orizzontale, e stop”.    
Ma, oggi, chi sono i ricercatori? – Ok: son problemi grossi. Ma chi sono questi esagitati che li pongono al pubblico ludibrio? Insomma: chi sono i ricercatori universitari? “Ce ne sono di due specie – ci dice il segugio Morozzo – Primo: il ricercatore a tempo indeterminato. Sono circa 25mila. Tutti, secondo il decreto Gelmini, prossimi alla “messa in esaurimento” con prospettive di carriera morte in culla. Secondo: i precari. Stime ufficiose ne contano 55-60mila. Sono dottorandi, borsisti assegnisti, professori a contratto. Per loro l’entrata in ruolo con il Gelmini diviene, nei fatti, impossibile”. Quindi, si arrabbiano. Tutti. Ma, cosa vogliono? Cioè: lasciamo tutto così com’è, e son tutti contenti?
L’università è un mondo da riformare. Onestamente, però – Assolutamente, no! “L’università ha bisogno di essere riformata” afferma lapidario l’informatore Arienzo. “Oggi, chi non ha la fortuna sfacciata d’esser figlio d’una famiglia economicamente solida, semplicemente non ce la fa”. È vero, le tasse… “Non ce la fa a fare il ricercatore!”. Ah… “Le retribuzioni, durante il precariato, sono bassissime. I figli di nessuno non reggono il peso”. Ma quando si diventa ricercatori a tempo indeterminato… “Non si è certo nababbi” rincara la spia Morozzo. E poi? “E poi c’è l’iter stesso con i quali si entra nel corpo docente” racconta l’informatore Bocchinfuso. Ecco, come si fa? “Per concorso. Concorso pubblico. Bandito a livello locale”. In pratica, concorsi ritagliati ago e filo su persone predestinate… “Non è nepotismo. E non si permetta di darlo ad intendere”. Non volevo, infatti, però… “Il problema è un altro: mettiamoci nei panni di un docente che gestisce un gruppo di ricerca. Quando finalmente incontra un collaboratore motivato, esaltante, in gamba, si trova a provare per lui (o lei) una specie di obbligo morale. E, allora, appena arriva un rivolino di soldi,  cerca di stabilizzarlo. Il che, in questo contesto di risorse scarsissime, bassissima meritocrazia, lascivo padronato sulle idee, può anche essere un processo, nei fini e nei risultati, sano”. Ebbene sì: dimostrazione pratica: l’università deve essere riformata. “Ma non così, però” rispondono  quasi in coro i nostri agenti. “Il Gelmini è la punta normativa d’un iceberg culturale” argomenta la testa di cuoio Bocchinfuso. “L’università pubblica, secondo loro – conferma il segugio Arienzo – è sovradimensionata. E, quindi, va ridotta”. “O meglio – asserisce l’informatore Morozzo – va smantellata, insieme all’istruzione e alla ricerca fatte dallo Stato”. Insomma: un’ecatombe voluta. “Con la quale – conferma Bocchinfuso – l’Università diverrà semplice tramite tra chi il sapere lo farà – i centri di ricerca esteri, o privati – e chi lo apprenderà – i nostri cervelli prossimi ad una imminente fuga. C’è un disegno strategico in questo, non v’è dubbio. Per portarci a cosa, non so immaginarlo. Forse, vogliamo essere il giardino stolto d’Europa…”. 
Dentro al movimento – Eccoci, momento conclusivo. Grazie ai nostri amici, siamo mani e piedi dentro al movimento. Che è solido. “C’è condivisione tra tutti noi, molta” dicono, in effetti, tutti d’accordo. Ma non ci sarà mica una vena di pregiudiziale contrapposizione ideologica al governo? “Assolutamente, no” ancora, in coro. E presenza dei partiti? Di quelli che stanno all’opposizione? Insomma: il PD, c’è? “Sfortunatamente, no. Perché altrimenti sentirebbe le nostre critiche. Non so quanto sarebbe capace di ascoltarle” racconta Bocchinfuso. “Partiti non se ne vedono, in pratica, non abbiamo appoggio” scuote la testa deluso Morozzo. “Non c’è, anche perché bisognerebbe che prima trovasse un accordo interno sull’accordo con noi” ironizza la spia Arienzo. Ok, niente politica (e la cosa mi ricorda non poco i racconti dei ragazzi del popolo viola, un secolo fa). E il Paese? “Il Paese è distratto – osserva la testa di cuoio Bocchinfuso – anche perché è lacerato, e poi è pure facile, per chi gestisce la comunicazione, far passare la nostra come una lotta corporativa. Comunque, non do colpe alla gente comune. È normale che sia distratta. Noi siamo persone che si trovano a formare la classe dirigente del domani. È ovvio che coniughiamo i nostri pensieri al futuro. E stiamo facendo tutto questo pandemonio proprio perché vogliamo bene all’Università, e vogliamo potergliene volere tanto ancora. Non pretendo che il cassaintegrato mi ascolti. Chi però con me costruisce il proprio domani, e quello del suo Paese, lui sì: lui deve sentire”. E chi ha orecchi per intendere, caro lettore, intenda.
Simone Ballocci

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