Nativi digitali 2.0, la scuola li annoia

natividigitali.jpgRiuscireste a intavolare una conversazione complessa con chi non parla una parola della vostra lingua? Ovviamente no, ma paradossalmente è proprio questo lo schema che – negli ultimi anni – si sta perpetuando nella scuola italiana in fatto di tecnologie.
I bambini e i ragazzi venuti al mondo a cavallo del 2000 – i cosiddetti “nativi digitali” – nel tempo libero interagiscono ottimamente e senza sforzo con i nuovi media e le tecnologie e ne danno per scontata l’esistenza. Ma appena varcano il portone della scuola vengono catapultati indietro nel tempo di trent’anni: l’approccio “libresco” degli adulti – “immigrati digitali” ancora non pienamente integrati nelle tecnologie – li annoia e non li stimola adeguatamente.
Tra i due mondi – quello giovanile permeato di tecnologie digitali e quello adulto fortemente legato a un passato analogico in via d’estinzione – c’è un baratro: fino a quando gli adulti non getteranno un ponte su di esso, le due comunità non si comprenderanno. Con grave nocumento per entrambe.
Un affollato dibattito su questo tema si è tenuto il 20 marzo presso la Fast di Milano, appassionando studenti e insegnanti, “nativi” e “immigrati”. Illuminante il paragone di Paolo Ferri (Università Milano-Bicocca) per mostrare, a suo modo di vedere, i limiti della scuola di oggi: «Quando negli Anni Ottanta ci si recava nella Germania dell’Est, avevamo la sensazione di tornare indietro di trent’anni. È la stessa sensazione che hanno ogni giorno i nostri figli quando entrano a scuola. Noi abbiamo di Londra l’idea che ce ne ha dato per anni Sandro Paternostro. Loro passeggiano nelle sue strade senza esserci mai fisicamente stati. Noi incontravamo gli amici al bar, loro vanno su Facebook».
Davanti a questa rivoluzione i metodi di insegnamento delle nostre scuole sono gli stessi da sempre. Gianni Degli Antoni (Università Statale di Milano), padre dell’informatica milanese, guarda da vicino ai nativi digitali: non vogliono imparare, non gliene importa nulla, non studiano, davanti a questa scuola restano indifferenti e annoiati. Cosa fare? Degli Antoni ha una ricetta: «Insegnare loro coinvolgendoli nel loro terreno. Inutile far loro comprare costosi volumi di Storia, ma bisogna far scrivere a loro stessi la Storia, sollecitandoli ad andare a trovare le fonti su Internet. Sbaglieranno anche, ma è l’unico modo per far loro costruire un pensiero critico».
Il dibattito ha coinvolto altre personalità, dal genetista Edoardo Boncinelli al giornalista Paolo Liguori, dal sociologo Derrick de Kerckhove al fondatore di Questar (prodotti software) David Orban. La conclusione di Bruno Lamborghini, presidente Aica (Associazione per l’informatica e il calcolo automatico), è che il tema «non è soltanto sociologico, ma politico. E non riguarda solo la formazione ma anche il lavoro, che esso stesso oggi è vecchio rispetto alle potenzialità della rete».

Manuel Massimo

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  1. Leggo con piacere questo articolo. Sono un’insegnate di scuola primaria, da 11 anni investo il mio tempo per far funzionare all’interno dell’I.C di San Gottardo di Genova un laboratorio di informatica del quale usufruiscono tutti gli studenti della scuola primaria. I tagli previsti per il prossimo a.s. non mi permetteranno di portare avanti il progetto. Tornerò in classe ad annoiare i miei alunni, utilizzando libri, penne e fogli di carta. Non basta la buona volontà degli insegnanti per cambiare la scuola. Credo fermamente nelle parole di Gianni Degli Antoni. Mi sono laureata 3 anni fa, anche se di ruolo da 27 anni, con una tesi sperimentale “Robotica per l’educazione. Un’esperienza nella scuola primaria”. Ma per insegnare in maniera diversa occorrono spazi adeguati e risorse. Mi piacerebbe lavorare in un’unica classe (attualmente opero su 13) e fare della mia aula un laboratorio, ma dove trovo gli spazi e i soldi per far ciò. Mi piacerebbe in qualche modo mettere a frutto la mia esperienza, anche al di fuori della scuola, ma non trovo la strada. Avete suggerimenti o consigli?

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