L’università italiana ha un problema di genere: solo il 27% delle prof è ordinario

Il ministero certifica in un report un soffitto di cristallo lungi dall’essere abbattuto. La docente di Gender and Empowermen a Corriereuniv: “Fare pressione a tutti i livelli della società per recuperare il gap”

Il “soffitto di cristallo” nell’università italiana è lungi dall’essere abbattuto: a ricordarlo è il focus sulle carriere femminili che ogni anno il ministero dell’Università pubblica nella settimana dell’8 marzo. Un report che evidenzia ancora una volta la problematica di genere molto italiana, con le studentesse che restano maggioranza quando si tratta di iscriversi o portare a compimento gli studi con profitto e che diventano invece man mano minoranza quando c’è da fare carriera.

Negli insegnamenti Stem si scende al 23%

“I numeri sono emblematici: su 1,9 milioni di iscritti all’anno accademico 2022/2023 il 56,5% è formato da donne; a loro volta, le laureate rappresentano il 57,3% del totale, con una variazione molto elevata tra un ambito disciplinare e l’altro, visto che si scende dall’80,7% dell’area umanistica al 29,7% di ingengeria e tecnologia, quando ormai tutti sanno che ad assicurare un’occupazione sono soprattutto le seconde”, commenta Laura Moschini, docente di Gender mainstreaming and Empowermen presso l’Università Roma Tre. Se però si passa dallo studiare in un’università al lavorarci lo scenario muta drasticamente. Le donne costituiscono complessivamente il 41,6% dei 76.741 docenti e ricercatori censiti nel 2022. Più nel dettaglio la loro presenza cala dal 50,4% delle assegniste di ricerca al 46,3% delle ricercatrici, ma solo il 41,% sono di tipo B, cioè posso aspirare a diventare docenti di seconda fascia. Mentre il 42% sono professoresse associate e solo il 27% ordinarie.

“Questo significa che al vertice della piramide nel 73% dei casi c’è un uomo – continua la prof.ssa -. E se è vero che la forbice si sta stringendo perché nel 2021 le prof di prima fascia erano al 26%, il miglioramento avviene troppo lentamente. Ad esempio dal 2013 a oggi è stato solo di sei punti visto che all’epoca erano il 21%”. Se restringiamo il campo alle materie scientifico-tecnologiche (Stem), la sproporzione a vantaggio del genere maschile diventa ancora più marcata se pensiamo che gli associati sono il 68% e gli ordinari perfino il 77% (lasciando alle donne un misero 23%).

“Il focus sottolinea come un’altra parte importante delle università italiane, il personale tecnico-amministrativo, restituisca una fotografia simile”. Con il 61% delle 53.547 unità con conctratto a tempo indeterminato e determinato, il peso femminile diminuisce all’aumentare delle responsabilità e dei livelli di stipendio. Tant’è che scende sotto la soglia del 50% tra i dirigenti di II fascia – dove le donne si fermano al 46% – e soprattuttto tra i direttori generali. “Dobbiamo continuare a fare pressione a tutti i livelli, accademici, politici e nella società per poter diminuire questo gap importante”.

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