Mario Alì (Miur): «Come possiamo credere di poter crescere se non partecipiamo alla distribuzione in modo equo della ricchezza immateriale».
C’è un binomio stringente tra economia e lavoro. Ma anche tra crescita quantitativa e qualitativa del Paese. E ancora tra ricerca e nuove assunzioni. Investire sui giovani significa toccare tutti i punti di questo cerchio. Ai dati sulla disoccupazione dell’Unione europea il quinto workshop “Investire sui giovani”del Simposio dei docenti contrappone idee concrete e soluzioni “qualitative”. Perché avere e dare delle opportunità ai giovani significa affidargli maggiori responsabilità: un primo legame che manca alla nostra società.
«I posti di lavoro nel futuro potrebbero arrivare da un investimento reale sul capitale immateriale. Se nel 2020 si raggiungesse l’obiettivo del 3% del Pil europeo investito in ricerca e sviluppo – spiega Mario Alì, direttore generale per l’internazionalizzazione della ricerca (Miur) – si avrebbe come probabile conseguenza la creazione di oltre 3 milioni di posti di lavoro, di cui 1 milione destinato ai giovani ricercatori. Siamo stati, quindi un po’ sviati nel guardare il tema della globalizzazione esclusivamente come scambio delle merci e dei materiale. L’investimento e la ricerca creano quel valore aggiunto che una crescita solo quantitativa non può produrre».
I dati dell’Unione europea, si precisa durante il workshop, parlano di circa 5 milioni di giovani disoccupati. Il che significa che un giovane su 5 non riesce a trovare impiego. Alle sfide annunciate dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2000, l’Europa ha risposto con la strategia 2020. «In questa strategia – spiega Alì – non si affronta solo il problema del pareggio di bilancio, ma si toccano 5 punti fondamentali che riguardano la crescita delle nostre future generazioni. Una crescita quantitativa che però avverrà solo se saremo capaci di avviare una crescita qualitativa»
Senza un mercato che crea circolarità e sblocca l’inserimento nel mercato del lavoro sarà difficile costruire una nuova economia. Per Lorenzo Caselli, professore emerito di Economia all’Università di Genova, il lavoro può diventare il perno di una convivenza solidale. «il lavoro fa parte di un percorso che crea sviluppo, al pari di altri fattori quali la creatività. Per questo, oltre le visioni economicistiche del futuro ci sono tre passaggi: investire nell’intelligenza e nella qualità della vita; creare un clima di fiducia in vista di obiettivi condivisi; mettere sul mercato una maggiore solidarietà».
L’Economia quella con la “E” maiuscola dovrebbe quindi riprendere il suo posto. Non è retorica, infatti, parlare di una economia invadente ed impotente di fronte ai problemi che ha creato. «L’esclusione e la povertà sono solo due dei fattori che dimostrano l’insufficienza dei mercati come unici regolatori», precisa Caselli. Ma come limitare i danni di questa distorsione dell’utilizzo delle risorse? «A Ginevra – spiega il professore- si è sottolineato che rischiamo di perdere una intera generazione di giovani: i tassi di disoccupazione giovanile, superiore al 3% lo dimostrano. Eppure è la condizione dei giovani che misura il grado di civiltà di una società e ne indica le prospettive».