Dobbiamo cambiare rotta. E’ questo il messaggio lanciato dal ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. In un’intervista alla stampa l’ex rettore della Sant’Anna risponde alla provocazione del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e presenta il programma per la mini-rivoluzione nel sistema universitario, a partire dai test Invalsi anche per gli Atenei.
Maria Chiara Carrozza, ministro dell’Istruzione, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco denuncia: in Italia studiare conviene meno che in altri Paesi . È così?
«Il discorso del governatore Visco prende in considerazione non solo le responsabilità del sistema scolastico e universitario ma anche quelle del sistema imprenditoriale. Le imprese non investono, cercano qualifiche più basse rispetto a quelle offerte dai giovani. Io penso che esista un problema; la qualifica non corrisponde alla competenza».
E quindi chi studia non è detto che sia preparato?
«Esatto, e invece, conta quello che si sa fare mentre nel dibattito politico c’è troppa attenzione al punteggio per ottenere i titoli necessari. Preferisco i concorsi che premiano la competenza e vorrei che le università venissero valutate».
In modo diverso da quanto accade ora?
«Ho sostenuto fin dall’inizio del mio incarico i sistemi di valutazione Invalsi e Anvur, ho anche messo a disposizione tutti i dati in nome della trasparenza. È necessario però valutare le competenze in uscita dall’università e confrontarle».
Come?
«Partendo dal metodo Invalsi che va migliorato e adattato all’università: voglio sapere se gli studenti escono dagli atenei con una laurea in grado di essere alla pari con quelle di altri Paesi».
Quindi un test Invalsi anche all’università ma in quale momento?
«All’uscita dall’università. Nell’ultima analisi Ocse-Pisa c’era un dato che secondo me è drammatico: la media dei laureati italiani ha competenze paragonabili a quelle di uno studente di scuola secondaria del Giappone. Le politiche dell’istruzione degli ultimi 20 anni hanno portato scarsi risultati, è necessario cambiare rotta».
Che cosa farà per cambiare rotta?
«Università, scuola e ricerca vengono gestite attraverso norme comuni all’intera pubblica amministrazione, che possono essere adeguate per gli Uffici del Catasto ma non i campi in cui si fa conoscenza. In questi ambiti ci vuole altro, norme diverse che rispettino la specificità del lavoro dei professori ».
Un esempio?
«Il blocco del turn-over è stato drammatico per l’università e ancora di più per la scuola. È stato un muro che ha bloccato ogni possibilità di rinnovamento. Io invece penso che sia necessario garantire un cambiamento in base a selezioni che seguono criteri internazionali. Vorrei anche che il mondo dell’istruzione scolastica e quello universitario si parlassero. Se i ragazzi escono da scuola con una preparazione non all’altezza dei loro coetanei degli altri Paesi ,anche l’università non può funzionare».
Il mondo dell’università ha conosciuto anche molti scandali.
«Le università devono avere bilanci comprensibili e rendiconti trasparenti. I giovani scappano anche perché il sistema non permette di premiare il merito né di avere gestioni controllate delle università che vanno male. Chiederò ai revisori dei conti per i bilanci delle università di fare ancora più controlli ma non basta. Proporrò un rinnovamento in modo da rendere l’intero sistema più trasparente e da rispettare la specificità dello studio e della ricerca. I bilanci vanno risanati, va eliminato il blocco del turn-over e semplificate le normative burocratiche».
Quando pensa di poter avanzare una proposta completa?
«Ci sto lavorando».
Sta lavorando anche ad una modifica del sistema di valutazione delle competenze dei ragazzi?
«Sì, vorrei migliorarlo rispetto al sistema attuale e proporre un unico sistema di valutazione per gli studenti dalla scuola primaria all’università».
La formazione post-diploma può rappresentare un’alternativa all’università?
«Stiamo valutando gli istituti. Sono da potenziare ma solo quelli che hanno raggiunto certi risultati».