Islanda: l'isola della libertà di parola

L’isola che non c’è(ra) per la libertà d’informazione. Questo vuol essere l’Islanda, vulcanico ammasso di freddo e lava incastonato nel nord dell’Atlantico con i suoi 300mila abitanti impegnati a vivere in condizioni estreme. Soprattutto, quella stessa Islanda che la crisi ha messo in ginocchio, con scandali a ripetizione, geyser di corruzione che spuntan come funghi, fiducia nella politica ridotta al lumicino.

L’isola che non c’è(ra) per la libertà d’informazione. Questo vuol essere l’Islanda, vulcanico ammasso di freddo e lava incastonato nel nord dell’Atlantico con i suoi 300mila abitanti impegnati a vivere in condizioni estreme.
Soprattutto, quella stessa Islanda che la crisi ha messo in ginocchio, con scandali a ripetizione, geyser di corruzione che spuntan come funghi, fiducia nella politica ridotta al lumicino. Proprio in questa Islanda, l’Islanda di oggi, è successo un fatto epocale: la libertà di stampa e d’espressione è stata scelta come cinghia di trasmissione per la ripresa economica.
Una proposta bipartisan presentata nel locale Parlamento, infatti, vuole fare dell’isola il “paradiso per i giornalisti”. L’idea è semplice: assicurare a giornalisti, aziende editoriali, siti internet un asilo sicuro, con massiccia legislazione coerente alla salvaguardia della libertà d’espressione, e tiro di fila sui turisti della diffamazione. Per capirne la portata rivoluzionaria ci vuole una premessa: la potenza dislocativa di internet. Grazie alla rete, chiunque può infatti arrivare ovunque da qualsiasi luogo.
Quindi: sei un giornalista investigativo, ed hai paura perché nel tuo Paese le leggi non ti tutelano a sufficienza? Puoi sceglierne un altro come casa del tuo pensiero. Portandogli in dote le tue conoscenze, il tuo seguito, e, perché no?, anche il traffico pubblicitario-finanziario che sei in grado di produrre. Con una plusvalenza voluta di diritti civili, e conseguente affetto internazionale proveniente dalla parte più sana della società civile mondiale.
I capisaldi legislativi individuati dai promotori sono quattro: stop alla conservazione degli scambi di informazioni (quindi, abrogazione degli obblighi di mantenimento delle mail e degli scambi ftp sui server dei provider internet); protezione ferrea delle fonti dei giornalisti; stop al turismo per calunnia, e quindi frontiere chiuse a chi decide di andare a querelare in altri paesi ove vi sia una legislazione più favorevole al diffamato; soprattutto, la clausola processuale della “libertà di parola”: il giornalista chiamato in causa può appellarvisi vedendosi attribuite numerose tutele e protezioni processuali. Con un corollario non da poco: se il giornalista risultasse vincitore, tutte le spese legali (sì, anche l’avvocato!) le pagherebbe il querelante soccombente.
Insomma: una pacchia. Per fare dell’Islanda un fiore all’occhiello mondiale della libertà d’espressione.
Simone Ballocci

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