La repressione di Teheran non indietreggia: oggi sono stati arrestati degi studenti in una scuola, protestavano contro l’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne curda deceduta dopo il suo arresto per non aver indossato correttamente il velo. La denuncia è arrivata dai resoconti pubblicati sui social media che hanno parlato di agenti giunti a bordo di furgoni senza targa. Il regime ha poi proseguito il suo giro di vite chiudendo tutte le scuole e gli istituti di istruzione superiore nel Kurdistan iraniano. Un atto dimostrativo a poche ore dall’azione condotta da un gruppo di sostegno alle proteste, che è riuscito a violare un canale televisivo di stato trasmettendo un’immagine del leader supremo Ali Khamenei circondato dalle fiamme.
I numeri della repressione
Un colpo, almeno simbolico, sferrato al cuore del regime da parte dei manifestanti, le cui azioni di protesta sono entrate nella quarta settimana. Una sfida a volto scoperto alla sanguinosa macchina repressiva della teocrazia, con un altissimo costo in vite umane. L’Ong Iran Human Rights (Ihr) con sede a Oslo ha infatti contato almeno 185 morti, tra cui 19 bambini, mentre secondo l’ultimo rapporto iraniano diffuso a fine settembre sono 60 le persone uccise, tra cui almeno 14 agenti di polizia. Le ultime due vittime in ordine di tempo sarebbero un membro della milizia paramilitare Basij e un membro delle Guardie rivoluzionarie ucciso durante le proteste a Sanandaj, la capitale della provincia del Kurdistan da cui proveniva Amini.
Students at Alzahra University in Tehran sing “Bella Ciao” in Farsi a day after Raisi’s visit to the university.#IranRevolution#مهسا_امینی pic.twitter.com/sPWGJWCY8T
— Iran Human Rights (IHR NGO) (@IHRights) October 9, 2022
“Il sangue dei nostri giovani sgocciola dalle vostre dita”, recitava il messaggio apparso sullo schermo durante il telegiornale di ieri sera della tv di Stato. Il messaggio era accompagnato da una foto manipolata di Khamenei con il corpo circondato dalle fiamme e la testa al centro di un mirino. L’attacco informatico, durato pochi secondi, è stato rivendicato da un gruppo che si fa chiamare Edalat-e Ali (La Giustizia di Ali) e che sostiene il movimento di protesta, il più esteso in Iran dopo le proteste contro l’aumento del prezzo della benzina nel 2019.
Il caso del falso referto medico
Amjad Amini, il padre della 22enne, intanto non si dà pace. In un’intervista a Iran International, un canale televisivo in lingua persiana con sede a Londra, ha respinto il referto medico ufficiale affermando che la figlia era in perfetta salute prima dell’arresto. “Ho visto con i miei occhi che il sangue le era sgorgato dalle orecchie e dal collo”, ha raccontato alla tv. Secondo attivisti e Ong, Mahsa ha subito un trauma cranico durante la detenzione.
Venerdì le autorità avevano annunciato che la ragazza era morta di malattia e non per le percosse. “Se voglio dire qualcosa, o criticare, vorrei farlo qui in Iran dove intendo vivere”, ha detto invece il musicista Shervin Hajipour, che oggi ha parlato per la prima volta dopo essere stato scarcerato. Arrestato per aver pubblicato una canzone a sostegno delle proteste, il cantante, 25 anni, aveva composto il brano chiamato “Baraye” (‘Per’ in persiano) che ha raggiunto quasi 40 milioni di visualizzazioni prima di essere cancellato quando il musicista è stato fermato. Il componimento è così diventato una sorta di colonna sonora delle manifestazioni e sui social media molti dimostranti hanno pubblicato dei video dove lo intonavano.
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