Io non devo partire, io voglio partire

Make Erasmus, not war.

I tetti si specchiano sul canale che taglia Korenmarkt.
Gent è una città austera e seducente, gioca a farsi conquistare non lasciandosi possedere da tutti.  Prima di sentirla tua, audace viaggiatore, dovrai dimostrarti in grado di rispettarla, comprenderla, accarezzarla, capirla e, se ti riesce, amarla.
Il freddo della notte è secco ma pungente, iberna i pensieri e la vista. “È questa casa mia?”: me lo chiedo mentre i piedi a penzoloni sfiorano l’acqua fredda. Più in là, un gruppo di ragazzi in converse ed eskimo, ingolla gin per tenersi al caldo.

Osservo le torri alte della chiesa di Saint Michel: nell’architettura imponente e maestosa non ritrovo me stessa. Ne rimango estasiata, spiazzata. Ma l’altezza non mi appartiene. Ed è probabilmente per questo che ho deciso che sarebbe stato così: avrei sfidato l’altezza, avrei giocato con il salto nel vuoto.

L’Erasmus, questa osannata e blasonata esperienza, è tante cose insieme. Ma, prima di ogni cosa, è un perfetto salto nel vuoto: avvincente, adrenalinico…Ma pur sempre un salto. E, per saltare più in alto, occorre alleggerirsi, tenere con sé l’essenziale, conservare in un angolo la cara e vecchia quotidianità.
Allenarsi al salto non è roba da poco: si rischia di diventare bravi. E, diventando bravi a selezionare l’essenziale, bisogna stare attenti a proteggere il proprio stupore.  In due mesi di vita Erasmus, lo stupore si è presentato silenzioso nei viaggi che mi hanno portata a percorrere strade lontane dal tracciato che avevo immaginato per me.
Il sole che solletica la punta della Tour Eiffel,

i fiori che colorano le biciclette di Amsterdam,

 
le coppie a cena nei ristorantini di Bruges, il profumo di cioccolata che riscalda le strade di Anversa, il treno sbagliato che ti porta a Bruxelles, l’idea giusta che fa tremare i tuoi sogni tra le luci della Gran Place.



“Non è casa mia” mi rispondo mentre i ragazzi in converse hanno finito la loro sessione di gin.
“Ma quanto può essere speciale avere anche solo l’opportunità di cercarla altrove?” mi contraddico severa.
Il cellulare vibra. Ho nuovamente lasciato attivo il roaming e i miei giga finiranno presto.
Whatsapp segna un paio di notifiche. Il mio amico di sempre rimbalza sulla prima chat.
“Mia sorella…Alla fine è partita”
“Ha accettato?”
“Sì, è un buon contratto…L’unico.”
“Tua madre?”
“Non sa nemmeno dove sia Helsinki. Ha aspettato sul binario sino a che il treno per l’aeroporto partisse. E mentre la gente andava via, lei non voleva saperne di lasciare la banchina. Il suo cuore è partito con lei.”
“…E anche una scorta di cavatelli, immagino”.
“Cretina.”
Chiudo la chat attaccandomi con tutte le forze ad un’ironia amara.
Mi riscopro fragile e fortunata.
L’Erasmus è partire per scelta, non per mancanza di alternative.
L’Erasmus è voler andar oltre senza esserne costretti.
L’Erasmus è accogliere la sfida solo ed esclusivamente con se stessi. Dimostrare e dimostrarsi che, sì, “ce la faccio a saltare nell’ignoto”.
Nel tempo in cui partire troppe volte significa “devo” e non “voglio”, mi riscopro privilegiata.
Io non devo partire, io voglio partire: è per questo preciso motivo che, scegliere della propria vita, rimane il dono più prezioso che continuo a custodire alla vigilia dei miei primi 23 anni lontana da casa.

NICOLETTA LABARILE

 
 

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