Dal bar Mario al “Secondo tempo”. Passando per “La Sapienza”. È la storia di una vita non da mediano, quella di Luciano Ligabue, approdato nell’Aula Magna del primo ateneo romano, trasformata per l’occasione in una rumorosa arena di vecchi e nuovi fans: aficionados di vecchia data e nuove conquiste di un rock malinconicamente romantico.
Un incontro organizzato dagli studenti – “Sapienza in Movimento” ne è stato il motore – pensato per gli studenti ed interamente dedicato agli studenti, visibilmente entusiasti delle parole di un artista, un interprete, un compagno di viaggio che sa parlare al cuore delle nuove generazioni, pur non appartenendovi anagraficamente.
“Grazie per le emozioni che regali, hai regalato e regalerai”, è il commento di molta parte di una platea in lotta per conquistare la possibilità di una domanda. A moderare l’incontro il giornalista Gino Castaldo che, ripercorrendo le tappe della carriera del cantante, ha fatto emergere l’uomo, con la sua malinconia, la passione, la paura. Quest’ultima è per Liga “un sentimento naturale, anche se abbastanza inutile”, perché non serve ad allontanare gli eventi negativi “contemplati, purtroppo, nell’esistenza di tutti noi”.
Una riflessione a tutto tondo sul senso della vita, della felicità, del destino. “Credo che più di tanto non puoi spingere la vita dove vuoi tu”, ammette, ma questo “lasciar fare” non deve essere inteso nel senso di rassegnazione: “bisogna lavorare per raggiungere gli obiettivi, ma saper lasciar fare anche alla vita”. Un po’ come nell’amore, “sei tranquillo e poi a un certo punto arriva la legnata”.
Tanto cuore, dunque, ma anche fortuna, come insegna ai giovani che vogliano diventare musicisti, soprattutto in questo periodo di crisi della discografia italiana: “dovete per prima cosa accendere ma tanti, ma tanti ceri, ma soprattutto preoccuparvi di avere qualcosa da dire, un’idea che sia solo vostra”. Parola di qualcuno che ha fatto strada, anche se non proprio a vent’anni, credendoci ed avendo fiducia nella vita. “È un concetto che puzza di buonismo, ma mi piace pensare che sia così”.
Guarda al passato con occhi sereni Ligabue, pensando alle prime esibizioni in cui “eravamo più noi sul palco che voi ad ascoltarci”. Ma non nasconde di aver imparato, oggi, a delegare di più, in modo da riuscire a rilassarsi davvero nel fare musica. Una musica che resta irrimediabilmente rock, nonostante le ultime “virate verso il pop” che contraddistinguono due dei tre inediti della sua ultima fatica, “Secondo tempo”. Un genere, il suo, “tecnicamente impossibile da definire”, ma che emozionalmente “significa non avere nessun pudore per le proprie emozioni”, tradotte in musica e parole perché “sento il bisogno di dire le cose cantandole”.
E ai fans che lamentano la mancanza dei raduni vecchio stile, il cantante ricorda che “al Liga Channel ormai sono iscritte più di ottantamila persone”, cifra che rende “logisticamente impossibile pensare di organizzare un evento del genere”. Ma niente paura. Tanto Mario riapre. Prima o poi.
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