Chi decide quanti giorni dovete lavorare in ufficio? I capi si stanno gradualmente rendendo conto che non sono loro. I veri detentori del potere sono gli inafferrabili “talenti” che ogni azienda cerca disperatamente di attirare.
Raj Choudhury, economista della Harvard Business School, sostiene che nel corso della storia sono stati i candidati più agognati a plasmare il nostro lavoro. All’inizio degli anni Novanta, per esempio, l’uso della posta elettronica sul telefono era un lusso riservato esclusivamente agli amministratori delegati. Ben presto, però, hanno iniziato a richiederlo anche i migliori talenti delle aziende, con il risultato che adesso nessuno di noi può più sfuggire alle email.
Oggi, a far drizzare le antenne di Choudhury sono le richieste di flessibilità estrema sul lavoro: i talenti più ambiti non vogliono soltanto il lavoro ibrido, vogliono poter lavorare da qualsiasi posto. “Ci sono due tipi di aziende – spiega Choudhury – quelle che abbracceranno la possibilità di lavorare da dovunque e quelle che non accettano la realtà: ho la sensazione che queste ultime perderanno forza lavora”. L’economista sostiene che “le aziende che stanno cercando di portare indietro il tempo perderanno alcuni dei loro migliori talenti, e questa dinamica le costringerà a mettersi al passo”.
Questa potrebbe essere una sorpresa per le persone a cui attualmente viene imposto dall’alto il modello “3+2”. Quando durante la pandemia abbiamo immaginato per la prima volta come sarebbe stata la vita dopo il Covid-19, ci aspettavamo che l’impostazione che prevede di lavorare tre giorni alla settimana in ufficio e due da casa fosse destinata a diventare la norma. Ma da quando siamo riemersi dalla nostra camera da letto e dal tavolo della cucina, abbiamo capito che il dibattito sulle modalità di lavoro era appena all’inizio. A confermarlo sono anche i dati dell’economista di Stanford Nick Bloom: nel giugno 2020, la maggior parte delle aziende prevedeva che i dipendenti lavorassero da casa circa un giorno e mezzo alla settimana, ma nei due anni successivi le aspettative relative allo smart working sono aumentate ogni mese. Ora la maggior parte delle aziende consenti ai dipendenti di lavorare da casa per quasi metà della settimana.
Questo cambiamento culturale avvantaggia molto le startup più agili. Il 2023 sarà l’anno in cui le vedremo migrare verso un approccio in cui il lavoro da remoto rappresenta la modalità principale. Dall’altra parte, le aziende tradizionali dovranno decidere se rimanere aggrappate a immobili costosi e a manager che si evolvono con lentezza, o se invece lanciarsi all’inseguimento della nuova tendenza.
Non sarà una transizione facile. Secondo un rapporto della società di ricerche aziendali Leesman, per esempio, il lavoro in sede incontra il favore di un solo gruppo: i dirigenti che hanno a disposizione un ufficio o spazi per riunioni privati. Per questo motivo, nel 2023 è probabile che i manager di lungo corso sfrutteranno la crisi economica per tentare un’ultima volta di riportare i lavoratori in ufficio. Anche se non è plausibile immaginare che queste persone si stiano sfregando le mani davanti alla prospettiva di un imminente rallentamento economico, usare un mercato del lavoro più debole come leva per riportare i dipendenti in sede potrebbe rivelarsi una strategia popolare. Ma potrebbe essere già troppo tardi: i migliori talenti hanno già deciso.
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