Gli iscritti all’università che arrivano dagli istituti tecnici e professionali scendono dell’8%

9mila in meno gli studenti con un diploma diverso da quello liceale. Non sempre le famiglie possono permettersi un percorso formativo superiore.

La forbice di iscritti all’università tra liceali e diplomati tecnici si assottiglia, complice la pandemia e la congiuntura economica. E la scuola italiana non riesce a scardinare la vecchia convinzione per cui gli studenti meno dotati andranno all’istituto professionale o, al massimo, al tecnico e si fermeranno dopo il diploma. Un controtendenza rispetto agli altri Paesi Ue dove chi esce da un tecnico aiuta ad alzare l’asticella della percentuale di laureati nel proprio Paese: l’Italia infatti secondo l’ultimo rapporto Eurostat è fanalino di coda insieme alla Romania con un 28,3% di possessori di un titolo di studio terziario rispetto alla media europa del 41,2%. In un mondo del lavoro sempre più specializzato questo è un dato allarmante.

Dati del Ministero sugli iscritti

Gli ultimi dati pubblicati dal ministero dell’Istruzione sugli studenti in ingresso per la prima volta nel sistema di istruzione terziario nazionale, nell’anno accademico 2021/2022, segnalano un calo di iscritti provenienti dagli istituti tecnici e professionali. I diplomati provenienti dal liceo, invece, continuano a crescere tra le fila degli immatricolati. Il confronto con l’anno precedente, il 2020/2021, fa emergere un decremento della presenza di ragazze e ragazzi con un diploma tecnico o professionale in mano sui banchi universitari dell’8% circa, in termini assoluti: qualcosa come 9mila unità in meno. Coloro che transitano dal liceo restano attorno alle 218mila unità. Ma in termini relativi, considerato 100 il numero complessivo di immatricolati nel 2021/2022, il liceali occupano 68 poltrone su cento, gli altri compagni appena 32 ogni cento. L’anno precedente, i primi superavano di poco le 66 unità su cento mentre i diplomati negli istituti tecnici e professionali ammontavano al 34%.

La segregazione sociale che contraddistingue la scuola italiana è confermata dagli stessi istituti. Il Rav (il Rapporto di autovalutazione) dell’istituto professionale Frisi di Milano recita: “Gli alunni provengono, per entrambe le sedi, da un contesto socio economico modesto. L’incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana è alta, tenuto conto sia degli allievi di prima alfabetizzazione e neo arrivati, sia di quelli privi dell’uso della lingua italiana come strumento di studio”. Situazione che non cambia percorrendo alcune miglia di chilometri verso Sud. “Il contesto socio-economico di provenienza degli studenti è medio-basso – si legge nel Rav dell’Istituto tecnico e professionale Majorana di Palermo – come risulta dal livello mediano dell’indice Escs” – l’indice (Economic, social and cultural status) che sintetizza lo status sociale, economico e culturale delle famiglie degli studenti.

Scala sociale immobile

Al liceo le cose cambiano completamente. Allo scientifico Labriola di Roma “il contesto socio economico di provenienza degli studenti rivela che il background familiare appartiene alla fascia medio alta”. Ma questa distinzione, per il presidente dei presidi italiani, è una scelta sociale che richiede un intervento riformatore: “È sempre più necessario – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi – riformare l’istruzione tecnico-professionale per invertire l’attuale tendenza che lascia trapelare una scelta sociale, più che di interessi e attitudini”.

Per Giannelli nei tecnici e professionali, ampiamente modificati dalla riforma Gelmini entrata in vigore nel 2010, occorrerebbe “incrementare gli insegnamenti professionalizzanti e decrementare quelli generalistici”. Esattamente il contrario di quanto operato dodici anni fa dall’allora ministra di Leno, che tagliò brutalmente le ore delle discipline professionalizzanti. E chi vive da vicino questa realtà conferma questa lettura. Ignazio Sauro, è alla guida dell’istituto tecnico e professionale Giuseppe Salerno di Gangi, nel Palermitano, che completa la sua offerta formativa anche con il liceo scientifico. “Dal liceo transita all’università più del 90% dei miei studenti – racconta Sauro – Dai tecnici siamo al 60/70%, dal professionale meno del 40/50%. Si tratta a mio parere di una impostazione gentiliana della scuola: chi si iscrive al liceo ha in generale un buon curriculum e proviene da contesti favorevoli. Coloro che si iscrivono al professionale sono usciti con voti bassi dalla scuola media e in alcuni casi provengono da contesti disagiati. La prospettiva per questi ultimi – continua – è quella di trovare subito lavoro, ma spesso non vi riescono perché le materie professionalizzanti sono state tagliate con l’ultima riforma”.

I dati sugli immatricolati confermano che il cosiddetto ascensore sociale è bloccato: chi proviene da contesti svantaggiati è destinato ad accontentarsi. Tesi confermata recentemente anche dall’Invalsi. I risultati dei test che sondano le competenze in Italiano e Matematica di 2milioni e 400mila alunni italiani fanno emergere che per coloro che nascono e vivono in un contesto svantaggiato (genitori con basso titolo di studio, genitori disoccupati, pochi libri da leggere a casa) la probabilità di raggiungere livelli alti di competenze è più difficile.

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