«Il lavoro è la sola giustificazione al ritardo negli studi universitari?». Sembrerebbe di sì, anche se al Ministro Profumo, che ha parlato di “studenti immotivatamente in ritardo sul piano di studi”, bisognerebbe chiedere se non vi siano altre importanti variabili che giocano sulla percentuale fallimentare di fuori corso in Italia, che ammonta al 33%. Che fine abbia fatto quel banco di prova sul quale i giovani dimostrano il loro reale valore, non si sa: i problemi personali, di salute e familiari- con tutto ciò che questi termini possano comportare – i fattori psicologici legati alla crisi economica, il blocco delle prospettive, per non parlare delle colpe del sistema universitario, del caos che travolge le matricole e di un metodo di insegnamento non sempre attento alle diverse esigenze degli studenti, già superstiti di un sistema scolastico inefficiente.
Pugno di ferro contro i reietti del mondo accademico, dunque. Via la retorica della “scuola che non insegna la vita vera”. Adesso, “I cittadini devono imparare dalla scuola. Ci sono tempi che devono essere rispettati. I costi del paese per il non fare o per il ritardo nel fare sono enormi e hanno influito sul nostro debito in modo rilevante”: così ha detto il Ministro.
Provare di avere un lavoro è ormai quasi impossibile in un’Italia in cui i contratti scarseggiano e sulla carta, per stage e lavori, risultano di norma meno ore di quelle effettive. Ma pazienza. I fuori corso ci sono abituati. Sono da sempre stati penalizzati: la sessione di esami speciale riservata a loro è saltata spesso in passato. Adesso, con i tagli alle università, la pratica si è totalmente estinta e si va ad aggiungere ad un contesto in cui le date per gli esami sono già poche e ravvicinate. Spesso si tratta di tre date a distanza di una sola settimana e nello stesso mese: il che si traduce nella possibilità di presentarsi all’esame solamente ad una data, per poi dover aspettare la sessione successiva e veder così passare il tempo.
Nessuno si interroga poi sulla coincidenza tra studenti non frequentanti e fuori corso e sulla diversità di trattamento riservata a queste ampie fasce di studenti: aumento della mole di programmi e quel certo snobismo dei professori che, da che mondo è mondo, prediligono i volti in prima fila a quelli che probabilmente, mentre si tengono le lezioni e in aula è in scena la ‘teoria’, stanno imparando la ‘pratica’.
Se non altro, la spending review colpirà in base al reddito. Ma attenzione – i fuori corso possono giocare una carta per sottrarsi all’aumento delle tasse: la richiesta del part-time. Cosa comporta passare al tempo parziale? E’ una opzione che dà la possibilità di “concordare con l’università la durata degli studi, in base alle proprie esigenze di tempo e impegno”, è scritto sul sito della Sapienza.
“Con il passaggio al tempo parziale il numero e la sequenza degli esami previsti dal proprio ordinamento restano identici, cambia solo il tempo entro il quale i crediti vengono conseguiti”. In soldoni: ci si accorda con il nemico, prima che la spending review arrivi a mozzare qualche testa. Nelle segreterie, lo si consiglia da tempo. E’ del resto anche un modo per pagare meno tasse. Secondo Roma 1: “Il primo anno di tempo parziale si paga il 10% in meno dell’importo previsto, gli anni successivi si ha una riduzione progressiva, fino ad arrivare al 40% in meno delle tasse”. Naturalmente, la riduzione delle tasse per gli studenti che usufruiscono del tempo parziale è valida soltanto per il tempo concordato”. Basterà quindi concordare con l’università un percorso di studi personalizzato, indicando nella domanda per il passaggio al part-time il numero di crediti che si vogliono sostenere ogni anno, che va da un minimo di 20 ad un massimo di 40 e rien ne va plus, les jeux sont faits.
Attenzione: sul sito della Sapienza non si menzionano esplicitamente ed unicamente i motivi di lavoro per giustificare la richiesta del part-time ma solo le diverse “esigenze di tempo e di impegno”.
Di ANGELA ZURZOLO
Mi sfugge il tono ‘furbetto’ della notizia. Per gli studenti ‘fuori corso’ è possibile un percorso definito e chiaro dove le due parti (l’ateneo e lo studente) si mettono d’accordo per il vantaggio di entrambi.
Se invece di strizzare l’occhio alla furbata (ma non dovevamo spremere i soldi ai fuori corso?) si informasse meglio su questa possibilità, faresti un servizio utile a quanti (e sono tanti) sono in ritardo con gli studi.
Io di tasse universitarie pago un patrimonio, dato che non le evado e sono in una fascia di reddito alta. adesso sono al primo anno fuori corso. ok, pagherò, non è questo il problema.
Il problema sono quei fuoricorso che già non pagano le tasse perchè hanno un reddito basso e ciò nonostante non fanno una beata mazza dalla mattina alla sera. allora io sono d’accordissimo con aiutare economicamente, ma in base al merito. quindi, se non hai soldi, e vuoi laurearti, o lo fai in tempo e quindi meritandoti gli esoneri e le agevolazioni, oppure se vuoi andare fuoricorso poi paghi tutto quello che non avevi pagato in precedenza e ti attacchi. no??????