Il presidente della commissione incaricata di valutare i candidati alla posizione di ricercatore è coautore di nove pubblicaizion su dodici del vincitore. Accade ad Ingegneria industriale all’Università Federico II di Napoli. “Concorsopoli”, l’inchiesta venuta alla luce nei mesi scorsi sulla cupola dei concorsi a cattedra truccati sembra non aver arrestato il fenomeno. Dopo le denunce il rettore Gaetano Manfredi ha provveduto ad annullare il concorso prima che questo venisse portato all’attenzione dell’Anac e della magistratura. Un decreto ha sciolto la commissione del concorso e contestualmente ne ha annullato gli atti. E il vincitore del concorso per un posto di ricercatore in Ingegneria aeronautica, nel dipartimento di Ingegneria industriale, si è ritrovato con un pugno di mosche in mano. Leandro Maio era risultato il migliore tra i concorrenti, il più adatto ad essere assunto come ricercatore, con un punteggio di 81,50. Pochissimi punti più del secondo in graduatoria, Angelo De Fenza, che ne aveva ottenuti 79,38 seguito da Natalino Boffa con 75,25 punti.
Ora è tutto da rifare. Perché il presidente della commissione, il professore Fabrizio Ricci, «risulta essere – scrive Manfredi – coautore di 9 pubblicazioni su 12 presentate dal candidato Leandro Maio», il vincitore. Come dire che il presidente della commissione ha valutato positivamente se stesso, prima ancora del candidato. Ed ha «violato i canoni di imparzialità e trasparenza, e il più generale canone di obiettività» si legge nel decreto del rettore. Imparziale, non trasparente, non obiettiva. Una commissione da cancellare, insieme a tutti gli atti del concorso. Il professore Ricci, associato di Costruzioni e strutture aerospaziali, avrebbe trasformato «il concorso in una farsa» dicono nei corridoi del dipartimento, ed il direttore di Ingegneria industriale, il professore Antonio Moccia, ammette: «Si è trattato di una cosa molto spiacevole.
Il presidente della commissione avrebbe dovuto dimettersi. L’ateneo ha proceduto in maniera ineccepibile». Ma non accetta di esser tirato dentro nella catena delle responsabilità: «Al dipartimento tocca solo chiedere il posto di ricercatore, sulla base delle esigenze didattiche e di ricerca (posto poi concesso dal consiglio di amministrazione dell’ateneo), e proporre i nomi dei docenti da mettere in commissione, successivamente nominati con decreto del rettore. Da quel momento in poi, la commissione si muove in piena autonomia». Ma nel rispetto delle norme per i concorsi pubblici e delle indicazioni fornite dall’Anac: «Sussiste un obbligo di astensione laddove emergano indizi concreti – scrivono gli uffici del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone – di un rapporto personale di tale intensità da far sorgere il sospetto che il giudizio possa non essere improntato al rispetto del principio di imparzialità, quale ad esempio la circostanza per cui uno dei commissari sia coautore della quasi totalità delle pubblicazioni di uno dei candidati». Il caso in questione, dunque.
Non a tutti i membri della commissione – composta da Ricci, da Andrea Alaimo dell’università Kore di Enna e da Maria Cinefra, del Politecnico di Torino – era sfuggito il rischio che si potesse essere accusati di mancanza di imparzialità, ma gli equilibri tra i colleghi avevano suggerito prudenza. Ed inizialmente in silenzio erano rimasti anche i candidati che si erano sentiti penalizzati da quel «rapporto personale di tale intensità» tra il professore Ricci e il ricercatore in pectore, Leandro Maio. Tutti colleghi, i concorrenti. «Tutti hanno fatto il dottorato di ricerca qui da noi – spiega il direttore del dipartimento – e tutti hanno poi avuto borse post-dottorato ed hanno proseguito in facoltà le loro attività».
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