Covid, la Fondazione Gimbe lancia l’allarme: “Se teniamo aperta la scuola bisognerà chiudere qualcos’altro”

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, commenta l’orientamento del Governo a non ritardare la riapertura delle scuole nonostante l’impennata dei contagi. “Numeri impressionanti ma le misure che sono state messe in campo sono solo dei panicelli caldi”.

“La scuola rappresenta un bacino di contagi. È chiaro che non avendo lavorato sugli aspetti
strutturali, possiamo modificare quanto vogliamo le modalità di screening e quarantena, ma con questa circolazione virale così alta bisogna fare delle valutazioni. Se decidiamo di tenere
aperte le scuole bisognerà chiudere qualcos’altro
”. È questa la posizione di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, durante la trasmissione ‘L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus, commentando il piano per far ripartire le scuole a gennaio, nel contesto del forte aumento di contagi degli ultimi giorni.

“La situazione dei numeri non ci incoraggia particolarmente, ma ci sono anche buone notizie – ha aggiunto Cartabellotta – Abbiamo una quantità enorme di casi, mai vista, tanto che molti hanno definito la Omicron come il virus più contagioso della storia e i numeri che stiamo vedendo la dicono chiaro in questo senso. Abbiamo in media mobile circa 100mila casi al giorno. La buona notizia è che al crescere dei nuovi casi non corrisponde un parallelo incremento dei ricoveri. Ovviamente crescono anche questi numeri, ma le percentuali rispetto al totale dei positivi si riducono progressivamente. Ogni 100mila persone positive, 1100 vengono ricoverate in area medica e 120 in terapia intensiva”.

Per questo, secondo il presidente della fondazione Gimbe, servono dei correttivi prima che la situazione precipiti ulteriormente. “Tutte le misure messe in campo finora dal governo sono una sommatoria di pannicelli caldi che non riescono a rallentare la circolazione. Adesso vediamo cosa verrà fuori dal prossimo Consiglio dei ministri. Bisogna limitare i contatti sociali, magari incrementando lo smart working. Mi preoccupa che si prenda tempo prima di assumere decisioni, perché i numeri sono già evidenti” ha concluso.

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