Che il sistema accademico italiano – nel suo complesso – non se la passasse tanto bene era sotto gli occhi di tutti: le notizie riportate dai media in questi mesi stanno lì a dimostrarlo. Questa sensazione di malessere diffuso è confortata anche dai fatti: il Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese elaborato dal Censis descrive con una potente metafora lo stato in cui versa l’Università: “Un malato cronico”, quindi soggetto a ricadute e sempre in cerca di una salute che non riesce a raggiungere completamente.
Spese e reclutamento. Infatti, «nonostante i diversi interventi di riforma di questi ultimi anni, tarda a essere implementato un sistema di ripartizione dei finanziamenti che prescinda dal criterio della spesa storica, per premiare obiettivi e risultati conseguiti dai singoli atenei; non si è ancora riusciti a introdurre modalità di reclutamento del corpo docente scevre da influenze clientelari o localistiche; gli auspicati processi di semplificazione dell’offerta dei corsi e razionalizzazione delle sedi periferiche procedono in modo stentato».
Sedi, docenti, iscritti. Tra il 1999 e il 2007, il numero di Comuni sede di strutture e corsi universitari è aumentato del 26,5%, mentre i corsi di laurea triennali sono passati dai 3.565 dell’anno accademico 2004/2005 ai 3.922 dell’anno accademico 2007/2008. La quota dei docenti a contratto titolari di insegnamenti ufficiali ha sfiorato il 60% (era il 38% nell’anno accademico 2001/2002; le iscrizioni alle lauree specialistiche sono in crescita esponenziale (+31,8% nel triennio 2005/2007) «ma non è ancora chiaro se tale tendenza sia frutto di un arbitraggio con l’iscrizione ai master, la cui offerta complessiva è in riduzione, o frutto di una consapevole scelta di investimento culturale».
Autonomia incompiuta. Resta poi «difficile declinare il tema dell’autonomia, se non correlata con l’autofinanziamento: nel 2005, rispetto a una quota di finanziamento del fondo ordinario pari a 58,2% delle entrate degli atenei statali, le tasse universitarie incidevano per il 12,1%». La richiesta che si leva dalle università italiane, per il Rapporto Censis, «sembra sempre più orientarsi verso interventi che accrescano la competitività del sistema universitario nazionale, declinati principalmente sul concetto di qualità».
Finanziamenti e valutazione. E si registrano «un diffuso consenso sulla ripartizione dei finanziamenti statali esclusivamente in base ai risultati della valutazione; un forte dissenso rispetto alla separazione tra università di ricerca e università di didattica; un sostanziale accordo su un’organizzazione della didattica più ispirata alla qualità e al superamento della passata proliferazione di sedi e di corsi di studio, in favore di un’offerta formativa concentrata territorialmente e scientificamente».
Manuel Massimo