Un rosso in differita. Un buco a tempo. Questa è la faccia nascosta delle “cattedre convenzionate”, un boomerang di bilancio che rischia di grattare le fondamenta della didattica portandosi via, come un affluente in piena della crisi economica degli atenei, ben 63 cattedre nella sola università di Firenze.
L’istituto – Le “cattedre convenzionate” sono posti ricoperti da docenti ordinari, associati e ricercatori i cui stipendi vengono pagati in massima parte da soggetti esterni all’università, solitamente enti pubblici, associazioni e aziende private. Un’idea normativa che legittima e autorizza la “sponsorizzazione” di un particolare insegnamento da parte di chi ha un interesse specifico nello sviluppo di quella materia. Un tentativo di abbattere la torre d’avorio sulla quale poggia spesso l’università italiana. Tentativo, però, già da anni non esente da critiche. Il rettore emerito della Bocconi, Mario Monti, scrisse ad esempio sulle colonne del Corriere della Sera un articolo, datato 22 aprile 2006, piuttosto scettico sul tema: “Ho timore – firmò infatti l’autorevole accademico – che le cattedre convenzionate condizionino l’indipendenza delle università dal potere economico”. Quindi, c’è il rischio che gli atenei svendano la propria autonomia didattica in cambio di due palanche per qualche posto in più. Purtroppo, non è l’unico.
Costo zero? Mica tanto… – Uno degli argomenti usati spesso dai sostenitori delle cattedre convenzionate è che sarebbero, praticamente, a “costo zero”. Nella pratica, l’università sembra ampliare la propria offerta formativa con soldi scaturiti da portafogli altrui. Purtroppo, non è proprio così: perché ogni convenzione rischia di diventare una vera e propria bomba ad orologeria contabile. Il motivo è semplice: ogni convenzione è “a tempo”: dopo 3, 4, 5, 10 anni le sovvenzioni provenienti dall’ente, o associazione sponsor, finiscono e gli stipendi dei professori si iscrivono direttamente nei bilanci delle facoltà. Un boomerang. Un rosso in differita. Ricoperto – da statuto – dal lenzuolo del turn-over: un professore va in pensione, con il suo stipendio ci si paga un ex-convenzionato. Ora, fino a quando quel lenzuolo è stato bello grande da coprire tutto e il contrario di tutto, nessun problema. Ma in tempi di carestia, tra blocchi dei pensionamenti e percentuali risibili di reintegri ammessi, tutto cambia. E crolla la baracca. Una baracca grande quanto 63 cattedre che barcollano. Insegnamenti compresi.
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