Anche il Mit volta le spalle a Huawei. Così le università Usa rompono i rapporti con i colossi tech cinesi

E anche il Mit alla fine ha ceduto. Il Massachusetts Institute of Technology ha staccato la spina ai progetti e alle collaborazioni con Huawei e Zte . È solo l’ultima di una lunga fila di eccellenze universitarie che, per paura di perdere i fondi federali, hanno voltato le spalle ai colossi cinesi delle telecomunicazioni, sotto indagine negli Stati Uniti perché accusate di aver violato sanzioni internazionali.
In una lettera pubblicata sul sito web dell’istituto, la vice presidente della ricerca Maria T. Zuber sottolinea che tutte le collaborazioni che vengono realizzate in alcuni paesi, vale a dire Cina, Russia e Arabia Saudita, dovranno essere sottoposte a una verifica ulteriore rispetto a quella solita che riguarda tutti i progetti avviati dall’Università. Proprio sulla base di queste nuove disposizioni, è stato deciso di non accettare nuovi accordi, né  tanto meno di rinnovare quelli vecchi, con Huawei, Zte e le loro sussidiarie “per le indagini federali in corso”.
Nel dicembre scorso Meng Wanzhou, direttore finanziario di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei, era stata arrestata in Canada con l’accusa di aver violato alcune sanzioni americane contro l’Iran. Già nel 2016 le autorità di Washington stavano indagando su Huawei per presunte consegne di prodotti di origine americana a Teheran e in altri paesi sotto embargo dalla legislazione Usa. Ma la cfo del gigante asiatico aveva negato ogni accusa.

Anche Zte era stata fortemente criticata dalle autorità Usa: il dipartimento del Commercio aveva accusato la società di aver trasportato illegalmente prodotti di origine americana in Corea del Nord e in Iran. Come sottolinea Reuters, le sanzioni sono poi state tolte dopo il pagamento di una multa pari a 1,4 miliardi di dollari.
Nella lettera, la professoressa Maria T. Zuber spiega che nel valutare futuri accordi e collaborazioni, si presterà particolare attenzione “ai rischi legati a proprietà intellettuale, sicurezza dei dati, competitività internazionale, sicurezza nazionale, diritti umani e civili”.
Il Mit percorre quindi la stessa strada di altre famose università americane, che hanno deciso di fare a meno dei dispositivi di Huawei e di altre aziende cinesi per non correre il rischio di perdere risorse finanziarie federali, come previsto dalla nuova legge di sicurezza nazionale promossa dall’amministrazione di Donald Trump.
Il presidente statunitense ha ingaggiato una battaglia contro Pechino, sostenendo che la componentistica e i dispositivi di Huawei rappresentino una minaccia nazionale. Più volte Washington ha esortato gli alleati europei a diffidare di questa tecnologia per i rischi di attacchi informatici e di operazioni di spionaggio: avvertimenti che hanno alimentato il timore che i dati raccolti potessero finire nelle mani dell’esecutivo cinese. Accuse prontamente smentite e considerate un modo per ostacolare l’espansione del gigante tech asiatico.
 
Business Insider

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