«Ora scendo. Sarà un piccolo passo per l’uomo ma un gigantesco passo per l’umanità». Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, è sull’ultimo gradino della scaletta del Lem ‘Aquila’. Poi, finalmente, allunga la gamba e poggia il suo piede sinistro sulla gessosa superficie della Luna. È il primo uomo a sbarcare su un corpo extraterrestre. Sono le 4,56 minuti e 15 secondi del 21 luglio 1969 in Italia, le 22, 56 minuti e 15 secondi (east time) del 20 luglio negli Stati Uniti. Con Armstrong, poco dopo, scende sulla Luna anche il suo compagno di ‘missione’ Buzz Aldrin, mentre in orbita intorno alla Luna, a bordo della capsula madre ‘Columbia’, resta ad aspettarli il terzo astronauta della missione, Michael Collins.
L’impronta. Da allora a oggi sono passati 40 anni, ma l’impronta impressa da Armstrong è ancora lì, indelebile, a sancire una nuova pagina di storia per l’umanità. Appena sceso, Neil si sposta lentamente verso destra. Cauto. Con la sua tuta spaziale sembra un esploratore artico. Si muove molto lentamente. A Terra sono tutti col fiato sospeso. Temono che possa essere inghiottito dal suolo lunare o che possa non vedere nulla a causa della polvere che si solleva, spessa come gesso.Ma tutto va bene.
La lamina d’oro. Armstrong non volge il viso verso il Sole per non rischiare di rimanere accecato, nonostante la lamina d’oro del suo casco gli garantisca una buona protezione. L’astronauta non cammina ma quasi striscia per paura di perdere l’equilibrio. La prima cosa che fa è raccogliere ‘ciottoli’, rocce, pietre lunari da portare a Terra per far sapere al mondo com’è fatta la Luna. Dal satellite celeste gli astronauti portano indietro circa 30 chili di frammenti lunari scelti accuratamente da Armstrong esperto geologo.
Passeggiate lunari. Appena Neil si assicura che tutto procede bene, dalla pancia di ‘Aquila’ scende anche Aldrin. Il suo impatto con la Luna lo affronta con un passo deciso. E a Houston scoppia un applauso liberatorio. La loro prima permanenza sul satellite celeste dura due ore, quindici minuti e dodici secondi. Quando Armstrong mette piede per la prima volta sulla Luna, in quel preciso momento, ben 600 milioni di persone hanno gli occhi puntati sul televisore, collegati con la Nasa da ogni angolo del mondo.
Uno sforzo sovrumano. Dietro questo storico passo di Armstrong c’è il lavoro di 400mila tra tecnici e scienziati dell’ente spaziale statunitense. Per affrontare la missione, gli Usa hanno investito 240 milioni di dollari di allora, il costo di circa due mesi di guerra in Vietnam. Ma, sopratutto, c’è la rivincita di un intero Paese, guidato in quel momento dal presidente Richard Nixon.
La “rivincita” degli Usa. La missione, però, è il frutto della granitica volontà di un altro capo di stato americano. Ad annunciare che ci sarebbe stata una missione Apollo 11 era stato, il 25 maggio del 1961, l’allora presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. John Kennedy, infatti, non ha per niente digerito il primato del primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, conquistato il 12 aprile 1961 dall’allora Unione Sovietica. Così, appena un mese dopo il volo di Gagarin, JFK giura al mondo che sarà a stelle e strisce la prima bandiera piantata da un uomo sulla Luna. E così è andata.
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