Vite da Covid, regista a Roma: "Cinema e spettacolo in ginocchio. Eppure chiese aperte"

L’epidemia da Covid-19 ha cambiato le vite di tutti. Ma ci sono categorie che accuseranno il contraccolpo economico più di altre. I giovani lavoratori sono quelli più esposti; secondo l’ultimo report dell’Inps il 56% tra i 19 e i 35 anni non è ritornato al lavoro il 4 maggio. Quello artistico uno dei settori più a rischio: “Il cinema è l’arte del sogno , necessaria per la ricostruzione. Voi fra i più penalizzati dal virus”, ha ricordato ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una lettera inviata al Premio David di Donatello 2020.

“Ed è così. Forse il più esposto perché ad oggi lasciato solo dallo Stato che permette le funzioni religiose al chiuso ma non permette di aprire i teatri”. Ad affermarlo è Matteo De Liberato, regista e attore originario di Pescara trasferitosi a Roma da alcuni anni. Trent’anni, alle spalle lavori come attore in film e video musicali – tra cui quello del brano Pesto del cantante Calcutta – Matteo era in tour da oltre un anno con il suo spettacolo teatrale “Muffa” ed aveva fondato nelle settimane precedenti il lockdown la casa di produzione One Shot Production. “Insieme al mio produttore avevamo terminato un corto cinematografico da presentare nei festival – racconta – eravamo in procinto di farne un altro con un budget di tutto rispetto: poi è arrivato il Covid”. Uno shock con cui il giovane abruzzese ha dovuto confrontarsi. “Ho avuto la fortuna di non fare la quarantena solo ma con un amico. E se all’inizio pensavamo che non avremmo retto la convivenza forzata devo dire che, tranne qualche momento in cui non ci capivamo, dopo alcune settimane abbiamo iniziato ad accettarci e scoprire delle cose in più l’uno dell’altro. – ammette – Inoltre dato che ho un secondo lavoro in un’azienda di servizi ho potuto continuare con lo smart working“.

All’inizio della quarantena molti erano in dubbio sulla necessità di una totale chiusura, mentre giornali e televisioni snocciolavano giorno dopo giorno i morti che hanno spaventato tutti. “Devo confessare che io, come tanti, ho preso sottogamba la gravità della situazione influenzato da virologi ed esperti che si contraddicevano , non mi vergogno ad ammetterlo. – racconta – E ora, dopo la fine della chiusura totale, da persona umile che ha seguito tutte le disposizioni governative, non so più cosa pensare perché di fatto la situazione è così incerta che è difficile capirci qualcosa anche per chi segue assiduamente la dinamica sui media istituzionali”. Non solo, c’è una problematica intergenerazionale di contestualizzazione della realtà che in una situazione di emergenza si è accentuata. “Questo lo vedo per esempio con mio padre – afferma Matteo – operaio che non ha avuto la fortuna di studiare, bombardato spesso dalle fake news che si trovano nei social. Credo che in questo periodo storico abbiamo bisogno di praticare più gentilezza nel rapporto con gli altri senza innescare litigi inutili o ergerci a detentori di verità”.

Sul versante degli aiuti che il Governo ha cercato di adottare come misura tampone di emergenza non sono mancati gli errori. “Ad esempio i famosi 600 euro, che ho percepito avendo un contratto precario, sono finiti anche nelle tasche dei notai, mentre sono state tenute fuori categorie più deboli come i disoccupati. – sottolinea – Poi non dobbiamo stupirci della tensione nel paese”. Il ministro Franceschini ha inserito nel decreto “Cura Italia” 33 milioni di euro per l’intero comparto artistico. “Una misura insufficiente se si pensa che per il cinema e lo spettacolo – 20 milioni di euro – gli aiuti derivanti dal fondo di categoria (FUS) non possono essere neanche richiesti da chi li aveva già percepiti nel 2019 – puntualizza – Ma la problematica maggiore è l’incertezza delle riaperture perché i piccoli come noi hanno sempre cercato di ingegnarsi, purtroppo, con le proprie forze, però ora non ci sono neache delle previsioni di apertura per una sala cinematografica o un teatro. Se lo Stato riapre le funzioni religiose nelle chiese mentre i teatri restano chiusi, allora io non mi posso più fidare del loro giudizio”.

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