Università, il calvario di uno studente: "Spero di andarmene il prima possibile"

Mario è stanco. Mario è deluso. Mario è caduto nella rete del sistema universitario italiano, e non riesce più a uscirne. Mario è un nome di fantasia, perché quello vero, quello che ha deciso di raccontarci la sua storia, non vuole farlo con il suo. Che sia uno sfogo, si sa, è normale, nei modi e nei toni. Ma la sua esperienza è solo uno dei tanti esempi della mala-università italiana, un misto di menefreghismo, burocrazia e nepotismo che, a volte, ti prende fino al collo.
 

Tutto è cominciato 3 anni fa, quando mi sono iscritto al corso di laurea in Professioni Sanitarie a Genova. Per motivi di capienza, però, sono stato mandato ad Imperia. Nell’ateneo ligure ho avuto un pessimo rapporto con i tutor che si occupavano di seguirci: non erano mai disponibili per noi studenti, sia dal punto di vista umano che professionale, se ne fregavano delle lezioni, hanno lasciato lacune su molti argomenti, e in ultimo, spesso ci siamo trovati di fronte a discriminazioni di tipo razziale.

 
Mario è uno studente fuori sede di Genova, e spesso racconto di essere stato costretto a raggiungere Imperia solo per registrare voti degli esami o per banali formalità burocratiche.
 

Non tutti potevano permetterselo, il viaggio era caro, e incideva non poco sulle già grandi spese per l’affitto e la vita da fuori sede. Ma non è tutto qui. Quando ho protestato per un esame andato male (in cui bisognava raggiungere la sufficienza in tutte e 4 le materie per poter passare) le cose cambiarono definitivamente: ho detto loro che stavo subendo un’ingiustizia ma come risposta ho solo ricevuto una porta sbattuta in faccia.

 
Due mesi dopo Mario si ripresenta di nuovo all’esame, superando con il massimo dei voti. Decide, però, di chiedere il trasferimento a Torino, in un nuovo Ateneo.
 

Prima di completare l’anno accademico, però, dovevo fare l’esame finale del tirocinio. Sono stato bocciato nuovamente alla prova d’esame, solo perché come giudice c’era – ancora una volta – la responsabile della materia che non avevo passato pochi mesi prima. Sono stato rimandato per dispetto, per ripicca e vendetta, solo per aver protestato ad un esame precedente, solo per aver denunciato un sistema incompetente.

 
Una volta arrivato a Torino la situazione non cambia di tanto. Mario è costretto a ridare nuovamente 5 esami, con lo stesso e identico programma, solo perché, a monte, c’era una differenza di crediti.
 

Ma qui arriva il culmine del paradosso: alla conclusione del mio percorso c’era il tirocinio di recupero, dalla durata di un mese e mezzo. Ho chiesto come poter dividere la giornata tra lezioni e tirocinio, ma non c’è stata nessuna disponibilità dall’altra parte, anzi: mi hanno creato problemi proprio con la frequenza! Volevo parlare col preside ma non mi è stata data possibilità.

 
Mario, alla fine, è sconsolato.
 

La vita non è un gioco: io faccio sacrifici, ma niente viene riconosciuto. Chissà che ne sarà del mio futuro: mi stanno letteralmente vietando di andare avanti. È un sistema corrotto, patetico e menefreghista, tanto a rimetterci siamo sempre noi studenti. Siamo numeri, come i codici a barre: alla fine, dalla mia esperienza, ho capito che l’Università pubblica è solo una messa in scena, un’industria, una macchina da soldi. Ho capito che le cose qui in Italia non cambieranno mai, non c’è meritocrazia, e per i giovani come me non c’è un futuro.

Spero solo di andarmene il prima possibile. Non siamo pedine manipolate.

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