“Ricercatrice? Torno a lavorare nel chiosco di famiglia”

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“La cosa che più mi scoraggiava? La mancanza di futuro”. Non ha perso il sorriso Silvia Pezzatini, 39 anni, ex ricercatrice e una vita trascorsa tra i banchi dell’Università. Sì, perché dopo 17 anni, Silvia ha detto basta: via il dottorato, via la ricerca, si torna a lavorare al chiosco di famiglia, a Firenze.

“Certo, la decisione non è stata facile – confessa Silvia in un’intervista al Corriere.it – ma l’instabilità dell’Università italiana era davvero troppa. A volte passavano mesi senza vedere nemmeno l’ombra di un euro”.

Ma non finisce qui. Borse di studio non finanziate, progetti senza fondi, futuro senza programmazione: questa è la realtà della ricerca in Italia. “Ho lavorato per sei mesi a Zurigo insieme ad un’equipe internazionale. Lì ho capito la vera differenza che c’è tra l’Università italiana e quella degli altri paesi. La coordinatrice del progetto aveva qualche anno più di me, tutti gli altri ricercatori erano giovanissimi, e i dottorandi avevano dei contratti veri e propri, con tanto di malattia e ferie pagate”.

Silvia, d’altronde, non è l’unica ad aver abbandonato gli studi. Secondo una ricerca di Almalaurea più del 38% dei laureati fa lo stesso lavoro che svolgeva prima di ottenere il titolo.

Dopo 3 anni di dottorato a 800 euro al mese e 4 anni di progetti a borsa di studio retribuiti 1.200 euro al mese Silvia ha detto basta. “Non è una questione di soldi ma di stabilità. In una situazione simile mi si è spenta la passione per la ricerca”. Una frase che fa male più di tutte, perché Silvia non è un cervello in fuga, ma rappresenta una passione che l’Italia ha fatto morire. Molto peggio.

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