Più di uno studente su dieci abbandona l’università. Al Sud si arriva al 15%

Il rapporto Uninpresa: spendiamo il 15 per cento in meno delle grandi economie europee. Senza contare che perdiamo 138mila euro per ogni cervello in fuga
Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 03 Settembre 2020 Roma (Italia) Cronaca : Test per accedere alla facoltà di medicina all’università della Sapienza Nella Foto: una delle aule con i posti distanziati Photo Cecilia Fabiano/LaPresse September 03 , 2020 Roma (Italy) aptitude test to access the medical school In the pic : classroom organized in compliance with the rules against the spread of the virus

L’Italia spende per l’istruzione 8.514 euro per studente, poco più del 8 per cento della spesa pubblica tra scuola e università, il 15 per cento in meno della media delle grandi economie europee (10.000 euro). Nell’Unione europa la media è il 9,9%. La Francia è al 9,6 per cento, la Germania al 9,3 per cento, la Svezia investe addirittura il 14 per cento.

Il confronto con i paesi Ocse

Anche rispetto al Pil quella italiana è la spesa più contenuta: 4 per cento contro la media Ue del 4,7 per cento. Per tutti i settori scolastici, più di noi investono anche Paesi come Giappone, Stati Uniti, Canada e Brasile e se è vero che la spesa di uno Stato aumenta al crescere dell’istruzione, è altrettanto evidente che in Europa siamo davanti solo alla Romania in numero di laureati, rapportati all’intera popolazione. Il rapporto di Unimpresa “I giovani e l’istruzione: la spesa pubblica in Italia e i divari da colmare” – redatto sulla base di dati di Banca d’Italia, Corte dei conti, Eurostat e ministero dell’Economia –  fotografa un quadro desolante per il nostro Paese. Un divario così ampio potrà essere colmato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: sui 191,5 miliardi assegnati con il Pnrr dall’Unione al nostro Paese, infatti, il 16 per cento, pari a 30,6 miliardi di euro, sono destinati a istruzione e ricerca (“missione 4”).

Il nostro Paese deve colmare il divario del numero degli studenti universitari: in Europa, sono complessivamente 17,5 milioni, con la Germania che vanta un 17,9 pr cento di laureati, seguita dalla Francia (15 per cento) e dalla Spagna (11,7 per cento). L’Italia e la Polonia, invece, sono in fondo alle classifiche europee con percentuali del 10,8 per cento e dell’8,5 per cento. Solo il 17 per cento della nostra popolazione, peraltro, raggiunge un titolo di istruzione universitario, contro il 33 per cento della Francia e il 40,1 per cento del Regno Unito. Va osservato, inoltre, che il declino della spesa in istruzione in Italia è avvenuto in modo più repentino rispetto ai cambiamenti demografici. Se gli investimenti nell’istruzione sono calati del 14 per cento, in rapporto alla ricchezza pro-capite, la popolazione degli studenti si è contratta del 2,3 per cento e questo dimostra che il livello del calo delle risorse investite non è giustificato dal calo delle nascite e del numero degli iscritti.

Abbandono università e aumento cervelli in fuga

La disattenzione, economica e culturale, verso l’istruzione italiana favorisce sia il fenomeno dei cervelli in fuga (a livello universitario) che la tendenza all’abbandono scolastico (nella fascia 11-19 anni), quest’ultima particolarmente marcata al Sud. Ogni anno 30.000 studenti con il titolo di laurea hanno difficoltà nel passaggio dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro: la distanza crea un buco di oltre 3,5 miliardi annuo per lo Stato italiano. E per ogni laureato in fuga, il sistema italiano perde complessivamente 138.000 euro di quanto speso nella formazione.

Per quanto riguarda i tassi di abbandono dell’università, variano in misura considerevole passando dal 15 per cento medio nel Sud al 9,6 per cento nell’area del Nord-Est. Tra le singole regioni meridionali spiccano Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Sardegna dove il tasso di abbandono scolastico supera il 15 per cento. Si legge nell’analisi Uninpresa: “Dalla primaria all’università, l’Italia non ha mai vantato un buon primato nel panorama dell’Unione europea fin dagli anni ’70 e la spesa pubblica per l’istruzione rimane tutt’oggi tra le più basse, sia in rapporto alla spesa pubblica totale che in proporzione alla ricchezza locale. Era il 2000 quando l’Italia destinava il 10 per cento di spesa pubblica al sistema educativo nazionale e nel 2019 la stessa percentuale arriva scarsamente all’8 per cento, a fronte del dato medio europeo, appunto, del 9,9 per cento”.

Allarme materie Stem

Il 24,9 per cento dei laureati tra i 25 e i 34 anni ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche. Il divario di genere è importante: la quota sale al 36,8 per cento tra gli uomini – oltre un laureato su tre – e scende al 16 tra le donne. Dunque, una laureata su sei. Ancora una volta la condizione socio-economica della famiglia di origine influenza l’abbandono scolastico. Chi lascia gli studi viene soprattutto da genitori che hanno al massimo la licenza media o esercitano una professione non qualificata o non lavorano. Il dato 2020, infine, conferma come la crescita della popolazione laureata in Italia sia più lenta rispetto a quella degli altri Paesi dell’Unione: l’incremento è di soli 0,5 punti nell’ultimo anno, meno della metà della media Ue che è all’1,2.

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