“Nessuna evidenza che il 5G faccia male alla salute”. Una ricerca ha analizzato 107 studi per fare chiarezza

Studi analizzati sulle frequenze superiori ai 6 GHz, non sono emerse evidenze di effetti dannosi legati al 5G.

Sono stati analizzati 107 studi sperimentali che hanno valutato gli effetti dei segnali con frequenze superiori ai 6 GHz sulla salute. Sommando i riscontri e valutando l’affidabilità dei singoli studi non sono emerse evidenze di effetti dannosi legati al 5G.

Nessuna evidenza certa che bassi livelli di onde millimetriche siano associati a effetti biologici rilevanti per la salute delle persone“. Così una ricerca pubblicata sulla rivista Nature ha sintetizzato un’estesa analisi di 107 studi riguardanti le radiazioni da radiofrequenze (RF) per valutare se il 5G possa rappresentare un rischio per la salute.

Il 5G sfrutterà in Italia tre bande di frequenze. Mentre 700 MHz e 3,6 GHz sono ampiamente usate da molti anni, per esempio per le trasmissioni audiovisive e per le reti mobili, la banda a 26 GHz è meno utilizzata; ma è già stata studiata così come le altre onde millimetriche (ossia quelli che vengono catalogati come “onde millimetriche” perché la lunghezza d’onda è misurabile in millimetri). Sono coinvolte nell’uso dei radar, negli scanner di sicurezza aeroportuali e in alcune applicazioni terapeutiche, per esempio.

Nonostante ciò, la preoccupazione del pubblico si è concentrata proprio su questa banda di frequenze. La ricerca pubblicata su Nature ha raccolto gli studi precedenti per riassumere quali riscontri sono stati registrati sugli eventuali effetti delle frequenze superiori ai 6 GHz. Ciò significa che sebbene ci siano pochi studi epidemiologici sugli effetti specifici del 5G (perché la tecnologia è ancora poco diffusa), già oggi è possibile fare delle valutazioni concrete sull’impatto delle frequenze coinvolte dalle nuove reti mobili.

La ricerca pubblicata su Nature ha esaminato gli studi i cui livelli di esposizione fossero coerenti con le linee guida della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti (a cui ci si riferisce anche con la sigla inglese ICNIRP). L’ICNIRP ha stabilito un limite già di per sé cautelativo (ergo estremamente protettivo verso la salute delle persone) di 61 V/m per le emissioni elettromagnetiche; tale riferimento è riconosciuto in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito e in Francia, per esempio, è stato adottato alla perfezione; in altri Paesi, come Grecia e Belgio, il limite massimo è stato abbassato rispettivamente a 47 e 31 V/m. L’Italia è la più restrittiva al mondo: 20 V/m, che scendono a 6 V/m in caso di aree ad alta densità umana.

L’analisi degli effetti delle onde millimetriche

L’analisi pubblicata su Nature ha valutato studi eterogenei che hanno considerato possibili effetti delle onde millimetriche inerenti, per esempio, la genotossicità, la proliferazione cellulare, l’espressione genica e il funzionamento delle membrane.

La ricerca ha notato che molti degli studi coinvolti non sono stati riprodotti in modo indipendente: un fattore importante per rafforzare le evidenze riscontrate da uno studio. Non basta un singolo studio, infatti, per sostenere che qualcosa faccia male: servono molti studi di qualità – soprattutto ripetibili e che ogni volta ottengono le stesse evidenze – affinché i risultati possano essere davvero presi in considerazione; perché ciò esclude possibili interferenze ed errori che abbiano inquinato i risultati. “Metà degli studi venivano da appena cinque laboratori e diversi studi sono stati il risultato di una collaborazione fra uno o più laboratori” si legge.

In particolare, la meta-analisi degli studi sperimentali ha evidenziato che “non c’era una relazione dose-risposta tra l’esposizione e la dimensione dell’effetto“. È naturale che se una sostanza contribuisce a un effetto dannoso, una dose maggiore di tale sostanza dovrebbe produrre un effetto più grande: la risposta è proporzionata. Eppure, “gli studi con una maggiore esposizione hanno mostrato effetti più bassi, il che è controfattuale” rispetto all’ipotesi che le radiazioni da radiofrequenze possano nuocere alla salute.

Inoltre, gli studi sperimentali che hanno riscontrato degli effetti usavano segnali nelle bande di frequenze tra 40 e 55 GHz: molto superiori a quelle che saranno usate per le reti 5G.

La ricerca su Nature ha inoltre evidenziato che molti studi non erano qualitativamente adeguati (per attenzione alle dosi o un’accurata misurazione della temperatura del sistema biologico testato); e sono stati soprattutto gli studi di minore qualità ad aver riportato gli effetti maggiori dalle radiazioni da radiofrequenze.

In definitiva, “la valutazione degli studi sperimentali non ha fornito alcuna evidenza certa che bassi livelli di onde millimetriche siano associati a effetti biologici rilevanti per la salute delle persone“.

dday

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