Lattoferrina contro il Covid, le sperimentazioni da Roma a Biella: cosa sappiamo

Lattoferrina al centro di un interessante dibattito scientifico perché potrebbe aiutare a combattere il Coronavirus

Da mesi, come la vitamina D, anche la lattoferrina è al centro di un interessante dibattito scientifico perché potrebbe aiutare a combattere il Coronavirus

Da tempo, in questi mesi di pandemia, si parla di come alcune sostanze potrebbero aiutare a prevenire o combattere il Covid, soprattutto nelle sue forme più gravi che richiedono l’ospedalizzazione.

È il caso ad esempio della vitamina D, assai discussa in Italia (ve ne abbiamo parlato approfonditamente qui), e oggetto di numerosi studi internazionali per via della sua azione che diversi esperti arrivano a definire davvero anti-Covid. Adeguati livelli di vitamina D infatti permetterebbero di contagiarsi di meno, e, in caso di positività, di ammalarsi meno gravemente.

Lattoferrina, cos’è e dove si trova

Anche la lattoferrina è al centro di un interessante dibattito scientifico. Ma cos’è? Si tratta di una molecola naturale, una glicoproteina, presente in tutte le secrezioni umane, compreso il latte materno. Diverse ricerche hanno dimostrato già da tempo come sia in grado di accrescere le difese immunitarie dell’organismo, svolgendo anche un’azione anti-infiammatoria.

La lattoferrina si trova soprattutto:

  • all’interno del latte materno, in particolar modo nel colostro. La ricchezza di lattoferrina comporta un buon sviluppo di batteri intestinali cosiddetti buoni, evitando la comparsa di disturbi vari a livello intestinale, comprese le classiche coliche dei neonati
  • nelle lacrime
  • nella saliva
  • nei granulociti neutrofili, cellule del sistema immunitario.

La sperimentazione pilota a Biella

Le sue proprietà potrebbero rappresentare un valido aiuto anche nella lotta al Coronavirus. Attualmente sono in corso altri trial clinici in Italia, Spagna, Perù ed Egitto e una importante sperimentazione parte presso l’Asl di Biella, in collaborazione con l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, una sperimentazione pilota proprio su questa sostanza.

Nei giorni scorsi è stato arruolato il primo paziente ricoverato all’ospedale di Biella per Covid per uno studio sull’uso della lattoferrina, coordinato dal direttore di Pediatria e Neonatologia dell’ASL BI Paolo Manzoni, in sinergia con i responsabili dei reparti Covid del pronto soccorso e del Dipartimento di Medicina.

La sperimentazione prevede la divisione dei pazienti coinvolti in due gruppi: al primo viene somministrata lattoferrina, al secondo un placebo. La tecnica è quella in doppio cieco: sia il paziente sia il medico non conoscono le caratteristiche del farmaco somministrato (la tipologia, la dose, ecc.) e questo garantisce il maggior livello di neutralità possibile.

Quando si somministra un farmaco, infatti, non va mai trascurata la componente psicologica, sia in chi riceve il farmaco sia in chi lo somministra, che può portare a conclusioni mendaci. Solo una terza persona sarà a conoscenza di chi ha assunto cosa.

“Sono assai pochi in questo momento, anche a livello internazionale gli studi realizzati nel campo della terapia del Covid-19, e quello avviato a Biella è sicuramente innovativo e ambizioso” ha spiegato il dottor Manzoni.

L’efficacia del Mosiac

Dopo lo studio condotto da un team di ricercatori delle Università di Roma La Sapienza e Tor Vergata, in occasione del convegno “Covid-19 vs Codogno 20” – organizzato a dicembre scorso dal primario di Pneumologia dell’Ospedale di Codogno, Francesco Tursi, in collaborazione con l’Accademia di Ecografia Toracica (AdET) – sono stati presentati nuovi dati a sostegno dell’efficacia della lattoferrina nel trattamento del virus.

I risultati sono frutto dell’esperienza di due medici di medicina generale di Firenze che avevano trattato 25 pazienti positivi a SARS-CoV-2 (ora divenuti circa 40) asintomatici, paucisintomatici e moderatamente sintomatici con lattoferrina, nello specifico con il Mosiac.

La lattoferrina bovina è stata riconosciuta priva di effetti avversi dalla Food and Drug Administration (FDA, USA), ha identiche funzioni rispetto a quella umana, ed è stata ed è la più utilizzata sia negli studi in vitro che in vivo. Mosiac è un prodotto che contiene solo lattoferrina bovina pura ed è in commercio già da diversi anni.

Lo studio puntava a valutare se in pazienti affetti da Covid-19 asintomatici, paucisintomatici e moderatamente sintomatici, la somministrazione di lattoferrina potesse ridurre la sintomatologia prevenendo l’aggravamento della malattia e il conseguente ricovero ospedaliero.

Tutti i pazienti, di età compresa fra i 17 e gli 84 anni, sia asintomatici che con sintomi da lievi a moderati (febbre, tosse, astenia, mialgia etc), sono stati trattati con lattoferrina (Mosiac capsule da 200 mg) a un dosaggio da 3 a 5 capsule al giorno per una durata compresa tra 7 giorni e 20 giorni.

Dall’esperienza clinica si è concluso che la lattoferrina si è dimostrata un trattamento privo di effetti avversi ed efficace in pazienti Covid-19 sia da sola che associata alle altre terapie utilizzate per il trattamento del virus. Tutti i pazienti hanno avuto remissione della sintomatologia e nessuno di essi ha necessitato di ospedalizzazione.

Lo studio di La Sapienza e Tor Vergata

Lo studio nasce da una ricerca condotta dalle Università di Roma La Sapienza e Tor Vergata in cui è emerso che la molecola diminuisce l’entrata del virus nelle cellule e svolge un’azione anti-infiammatoria. SARS-CoV-2 – ha spiegato Piera Valenti, professore ordinario di Microbiologia dell’Università di Roma La Sapienza e Membro del Comitato internazionale di Esperti sulla lattoferrina – provoca una tempesta infiammatoria.

Durante i processi infiammatori il metabolismo della cellula cambia anche in riferimento alla localizzazione del ferro. Infatti, il ferro resta “sequestrato” nelle cellule e non può essere riversato nel circolo da parte di proteine specifiche che vengono inibite dall’infiammazione.

La lattoferrina risolve questo disordine metabolico sia perché sequestra il ferro in eccesso, sia perché diminuisce l’infiammazione permettendo al ferro la sua fisiologica collocazione nel circolo e non nell’interno delle cellule.

Inoltre, la lattoferrina grazie alla sua carica positiva è anche in grado di legarsi ai componenti superficiali negativi delle cellule e dei virus, svolgendo così un’attività antivirale. In sintesi, la lattoferrina legandosi ai virus e alle cellule impedisce l’entrata del virus nelle cellule, svolgendo così un’azione di contrasto all’infezione virale e di protezione cellulare dall’ingiuria del virus.

Oltre ai risultati in vitro, si sono ottenuti risultati incoraggianti anche in uno studio pilota prima su 32 pazienti, divenuti ora 92, positivi a SARS-CoV-2, in cui la lattoferrina liposomiale veniva somministrata per via intranasale e orale. Su tutti i pazienti trattati con la lattoferrina è stata osservata una diminuzione dei fenomeni infiammatori e tempi di negativizzazione dei tamponi molecolari più brevi rispetto a quelli osservati in pazienti non trattati o trattati con la classica terapia senza lattoferrina.

Lattoferrina, effetti collaterali?

Ma cosa è utile sapere riguardo alla lattoferrina? Servono gli integratori a base di questa sostanza? Mentre la vitamina D, se assunta in eccesso, può risultare tossica a livello renale ed epatico – tanto che si parla di un’epatite da vitamina D, ed è per questo che va assunta in concomitanza alla vitamina K2 – la lattoferrina, invece, non si accumula.

Inoltre, essendo una proteina piccolissima, può essere assunta tranquillamente anche da chi è allergico alle proteine del latte o intollerante al lattosio.

La somministrazione come supplemento orale non è paragonabile al suo assorbimento con il latte o con le nostre secrezioni a livello gastrointestinale, per cui non è detto che gli integratori la aiutino a collocarsi nell’area d’interesse.

quifinanza

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