Nessuno sà cosa accadrà il 4 dicembre, giorno della scadenza dei dpcm. Neppure al ministero dell’Istruzione la ministra Lucia Azzolina, che da quando hanno chiuso sta lavorando per tenere alta la bandiera del ritorno in classe, si sente di fare previsioni. Dalla prossima settimana, se i dati di rallentamento generale della circolazione del virus saranno confermati, si comincerà a riflettere sul da farsi.
Per ora si lavora per cercare di ricucire gli strappi delle regioni che hanno deciso di chiudere tutte le scuole, anche elementari e medie: l’Abruzzo, dove la decisione per ora è stata evitata nonostante il parere del Cts regionale che spingeva a bloccare tutto, la Basilicata, la Calabria, la Campania. Ora anche la Valle d’Aosta ha avviato una campagna di screening prima di decidere se è il caso di tenere ancora aperte le scuole elementari e medie. Ma intanto sulla scuola ci sono chiaramente due partiti. Al suo, quello di chi vorrebbe riaprire, la ministra Azzolina da ieri ha arruolato definitivamente il Cts,che dovrà dare il suo parere sulle scelte future del governo. Nell’intervista al Corriere il coordinatore Agostino Miozzo ha annunciato ufficialmente che sulle chiusure bisogna ripensarci.
Il messaggio era intanto rivolto ai governatori che temono l’aggravarsi delle situazioni locali, spesso anche per mancanza di dati chiari sui contagi dei giovani. Ma anche il governo sull’argomento è diviso con il Pd e Leu che spingono per mantenere la chiusura e il Movimento Cinquestelle e Italia Viva che insistono per lasciare aperte almeno infanzia, elementari e medie. E come il governo è divisa l’opinione pubblica. Il comitato priorità alla scuola, sull’onda della protesta di Anita, la ragazzina di Torino che tutte le mattine va davanti alla scuola fare didattica digitale, ha organizzato per oggi una nuova protesta davanti a Montecitorio dove vuole portare studenti e professori a fare lezione.
Ma ci sono dati sui contagi in classe e che cosa dicono? L’Istituto superiore di Sanità ha presentato venerdì scorso un monitoraggio specifico sulle scuole, paragonando i dati dei contagi a livello nazionale con quelli della fascia di età dai 3 ai 18 anni. Con alcune avvertenze, come quella che i dati delle due ultime settimane – forniti dalle Asl – non sono completi e dunque rischiano di ridurre la portata dello studio, i grafici dimostrano che da quando si sono chiuse le scuole superiori i contagi nella fascia d’età 14-18 sono diminuiti e – si legge nelle conclusioni – “dal 20 ottobre i dati suggeriscono che i casi tra i bambini e ragazzi non crescano allo stesso ritmo dei casi in età non scolare e che abbiano raggiunto un plateau”.
La spiegazione sulla diminuzione dei contagi, secondo i tecnici del ministero dell’Istruzione, oltre che alle chiusure in sé, sarebbe anche da ascrivere al fatto che, non andando più a scuola, i contagi tra adolescenti non sono più controllati come avveniva nelle prime settimane di scuola. I focolai restano comunque pochi, il 2.2 per cento del totale. Le tabelle regionali mostrano l’impennata dei casi in Sardegna, Umbria, Piemonte, Campania e Bolzano da fine settembre, tutti poi in diminuzione dalla fine di ottobre, dopo il primi provvedimenti di chiusura.
Per quanto riguarda i trasporti invece Azzolina ha scritto al presidente della conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini chiedendogli che le regioni forniscano agli uffici scolastici un piano con le situazioni critiche per poter procedere a rimodulare gli orari e gli scaglionamenti degli ingressi e delle uscite. “Ma per riaprire bisogna che in classe ci siano i professori – avverte il presidente dell’Anp Lazio Mario Rusconi -mancano ancora tantissimi supplenti annuali, prima di dicembre o gennaio le cattedre non saranno complete”. Monica Galloni, preside del liceo scientifico Augusto Righi, primo della Capitale secondo la classifica di Eduscopio, ha lanciato un appello pubblico per tornare in classe: “Abbiamo bisogno di esserci. Abbiamo bisogno di venire e stare a scuola. Abbiamo bisogno della nostra vita”.