“Io invece studio all’estero”

Chi viaggia potrà trovarvi spunti utili su come muoversi ancora meglio in giro per il mondo, un po’ come se si avesse per le mani un manuale di sopravvivenza. Lo stesso per i più sedentari, quelli che se si allontanano da casa per qualche giorno e a pochi chilometri di distanza già è troppo.
La guida in questione, anche se a dirla così può sembrare un po’ riduttivo, è “Io invece studio all’estero” di Loredana Oliva, giornalista de Il Sole 24 Ore specializzata sui temi dell’istruzione e del lavoro. Un libro che gli invitati alla giornata di presentazione, tenutasi giovedì 3 aprile presso la libreria Bibli di Trastevere, non hanno esitato a definire “fresco, leggero e chiaro nella scrittura”, di quelli insomma che si leggono tutti d’un fiato. “Un giorno mi piacerebbe poter dire ‘Io invece studio in Italia’ – ha affermato l’autrice – questo significherebbe che tante cose sono cambiate”.
“La verità è che al momento sono troppe le differenze che ci separano dai sistemi universitari più avanzati, dove ad esempio sono presenti meccanismi di controllo e di valutazione degli atenei che permettono di registrare sia le performance di studio degli iscritti che i risultati raggiunti nella ricerca, oltre che la capacità dei campus di volgersi all’internazionalizzazione”.
La ricetta insomma, è sempre la stessa: premiare il merito. Quasi uno slogan. “In Italia non c’è un sistema di trasparenza che consente al singolo di muoversi come fosse un consumatore alla ricerca del servizio migliore. D’altra parte è giusto che le famiglie che sostengono i propri figli abbiano un tornaconto dai loro investimenti. E non sono sicura – ha spiegato la giornalista – che in questo c’entri qualcosa il taglio continuo ai finanziamenti destinati all’università”. Sembrerebbe al contrario, più un problema culturale. Lo stesso che ancora oggi, fa da freno alla mobilità internazionale. “Trovo che siano almeno due i motivi – ha evidenziato Francesco Ventimiglia, giornalista Radio Rai e moderatore per l’occasione – utili a spiegare il fenomeno: innanzitutto il rifiuto rispetto alla società industriale e post-industriale, che porta a rimanere ancorati ad una mentalità contadina che ci vuole ancora aggrappati alle origini del luogo, poi il ricordo tutt’altro che positivo degli emigranti con la valigia di cartone in mano”. Eppure a viaggiare c’è da guadagnarci sia in termini di crescita personale che di occasioni di lavoro. A sostenerlo è Maurizio Caponi, esperto in risorse umane all’interno di IBM. “I curricula che arrivano in azienda sembrano tutti uguali, nonostante ciascuna persona sia diversa e con proprie specificità, ma i posti sono pochi e per i selezionatori corre l’obbligo di fare una scelta. In questo senso l’esperienza all’estero rappresenta un valore aggiunto”.
Raffaella Forte

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