Ingegneria, un mestiere per donne

Sono un’ingegnere nucleare (l’apostrofo è voluto, perché l’articolo è al femminile!) [1]. Dopo più di trent’anni di esperienza in un ambiente a maggioranza maschile, posso dire di aver vissuto situazioni decisamente interessanti e sfidanti, e difficoltà a volte inaspettate e inattese.

L’ingegneria è la disciplina e la professione che ha come obiettivo l’applicazione dei risultati della matematica, della fisica e della chimica alla risoluzione di problematiche che concorrono alla soddisfazione dei bisogni umani.

La mia è la prima generazione di donne che sono andate a scuola in massa. Pur essendo ingegnere, so ricamare, lavorare a maglia, cucire: me lo hanno insegnato a scuola, insieme ad una materia, “economia domestica”, che ormai non esiste più e che serviva ad imparare il mestiere di moglie e di madre.

La mia professione di ingegnere mi ha dato molte soddisfazioni, tra cui non ultima l’indipendenza economica. Tutto questo anche se, come un secolo fa, ovunque nel mondo le donne tendono ad essere segregate nei lavori meno pagati e nelle aziende che pagano meno, e tutte noi ne siamo consapevoli.

Perché l’ingegneria è spesso considerata un mestiere per uomini e, in Italia, un mestiere per dirigenti d’azienda. Certamente lo era anche quando io studiavo; ricordo che quando nel novembre 1970 mi sono iscritta al Politecnico, negli edifici “vecchi”, dove si tenevano le lezioni dei primi anni – grandi aule ad anfiteatro con i banchi di legno, che tenevano quattro/cinquecento persone -, non esistevano gabinetti per le donne.

Al di là di episodi di questo tipo, che oggi non accadono più, in Italia le donne non hanno problemi a scuola, perché lì le regole sono differenti. Anzi, soprattutto nella scuola italiana le ragazze tendono ad essere più brave, proprio per come è organizzata la scuola da noi, con tante ore di immobilità e pochi intervalli.

Ma poi, nel mondo del lavoro, le regole sono sempre quelle maschili, e diventa importante l’intreccio tra sesso e potere, una specie di fiume sotterraneo che salta fuori quando meno ce lo aspettiamo in modo improvviso e spesso spiazzante.

Invece secondo me l’ingegneria è anche un mestiere per donne: intanto, come per qualunque mestiere, la partecipazione di uomini e donne va considerata un vantaggio rispetto alla partecipazione di un solo sesso. In più, le donne dovrebbero portare il contributo del loro senso pratico e della loro tenacia, utilissimi per un ingegnere.

L’altra faccia della medaglia, è che le qualità femminili sono considerate meno utili di quelle più tipicamente maschili, come l’aggressività e la tendenza a fantasticare. Eppure, già gli astronomi e gli scienziati del ‘600 e del ‘700 avevano una moglie o una sorella a cui affidavano il compito di fare i conti[2], e questo dimostra che il concetto di sfruttare caratteristiche di persone diverse per un compito complesso non è affatto nuovo!

Oggi molte cose sono cambiate, ma la nostra società dell’abbondanza ha coinvolto le donne senza veramente fare propri i valori del femminile. Adesso sembra che l’abbondanza stia diminuendo, le risorse non bastano più, e le donne rischiano più degli altri. Siamo di fronte ad una grande sfida.

Occorre utilizzare al meglio tutte le risorse offerte dagli individui, maschi o femmine non importa. In Italia, e non solo nelle aziende, negli ultimi tempi c’è stato bisogno di una classe dirigente capace di dire solo di sì. Queste persone non possono adesso improvvisamente diventare capaci di inventare qualcosa di nuovo, di superare le colonne d’Ercole e portarci al di là dell’oceano. Perciò noi siamo chiamate più che mai ad essere presenti ed attive.

Il mondo cambia. E come cambia?

Con l’aumento degli strumenti informatici a disposizione, la quantità di informazioni sta crescendo a velocità impensabile.

E’ cresciuto moltissimo il numero delle persone che studiano. Molte aziende hanno il 50% o più di impiegati laureati. Visto che la gerarchia tende a rimanere rigida, i posti di responsabilità a disposizione sono pochi per tanti pretendenti, che potrebbero dare – ciascuno a suo modo – dei contributi preziosi.

I problemi da affrontare sono sempre più complessi, fuori dalla portata di un cervello da solo. La figura dello scienziato che risolve il suo problema con un’idea geniale mi sembra sempre meno attuale.

Occorre gestire al meglio la conoscenza, la diversità, e non solo la diversità di genere; si deve favorire il cambiamento della cultura aziendale in modo da trarre vantaggio dall’influenza positiva delle diversità. Questo porterà automaticamente alla valorizzazione delle donne, ma occorre impegnarsi.

Infatti, spesso si tende a lasciar fuori le donne dai ruoli decisionali, in molti casi anche di più di prima. Alcune di loro si sono anche rese conto che le vere opportunità sono altrove, e cominciano a farsi strada in ruoli autonomi.

Le aziende devono rendersi conto di quello che perdono e cercare di cambiare rotta. Ad esempio occorre smettere di approvare la competizione, e dare molta più importanza alla collaborazione.

Dare valore al femminile è un passo avanti in questo senso, molto radicale, e non si riferisce soltanto alle donne, perché “Il femminile appartiene a tutti noi, agli uomini come alle donne, come un modo di essere…E’ stato molto trascurato e soprattutto nel nostro secolo. La sua assenza si traduce nella discriminazione contro le donne, non solo nei modi più ovvi – nel salario, nelle promozioni, nei privilegi – ma in tutti i livelli della società”[3].

Spesso le donne incarnano proprio quell’immaginario femminile che gli uomini sentono dentro di sé e che rifiutano come debolezza. Perciò cercano di liberarsene, almeno nelle otto ore di vita lavorativa, e di non farsene ’toccare’ troppo.

D’altro canto, noi donne ci ritroviamo imprigionate dallo stereotipo, e da un sistema che rifiuta il nostro modo di essere, come se fosse di serie B, e che ci giudica prima come donne che come persone. E allora diventiamo insicure, e spesso aggressive. O cerchiamo di comportarci come loro (gli uomini), spesso con risultati deludenti.

Le aziende dovrebbero sapere tutto quello che perdono se non ci si decidono ad apprezzare la cultura femminile. Si può sperare che le nuove sfide del mondo globalizzato spingeranno le organizzazioni a trovare soluzioni nuove; ma questo non avverrà spontaneamente.

Di sicuro, l’evoluzione del ruolo delle donne nel prossimo futuro sarà un utile indicatore di progresso. E per ottenere tutto questo, le ragazze non devono tirarsi indietro, ma partecipare. Per esempio, iscrivendosi ad ingegneria.

Giovanna Gabetta, Dicembre 2011


[1] Vedi l’introduzione a “Sesso, amore e gerarchia”, di Valeria Fieramonte e Giovanna Gabetta, Greco & Greco, 1998

[2] Margaret Alic, “Hypatia’s heritage”, Beacon press, Boston, 1986

[3] Ann Belford Ulanov, “The female ancestors of Christ”, Shambala publications, USA, 1993.

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