Università a impatto zero: la sfida entro il 2050

ll’estero si comincia ad agire anche sulle partecipazioni in società che non sono più ritenute affidabili in termini di sostenibilità

Università ad impatto zero, la sfida delle università – anche italiane – sempre più impegnate nell’obiettivo di ridurre la loro impronta ecologica, con interventi mirati e la creazione di sinergie, come fa la Rus, la Rete delle università per lo sviluppo sostenibile, che hanno grande impulso nell’ultimo periodo.

È un impegno globale. All’estero, dove le università private sono anche investitrici, si comincia ad agire anche sulle partecipazioni in società che non sono più ritenute affidabili in termini di sostenibilità. È il caso della statunitense, prestigiosa e ricchissima, Harvard, che ha annunciato nei giorni scorsi la riduzione delle sue partecipazioni in aziende del settore dei combustibili fossili, per un ammontare di meno del 2% (a fronte dell’11% del 2008). Le partecipazioni che sono state tagliate includevano investimenti diretti in materie prime e partecipazioni indirette in società che esplorano o sviluppano riserve di combustibili fossili. L’anno scorso, Harvard aveva annunciato di avere come obiettivo il raggiungimento di emissioni nette zero entro il 2050 e che avrebbe lavorato per misurare la sua impronta ecologica.

Stessa strategia è stata messa in atto nel Regno Unito dal Trinity College, che ha modificato la sua politica di investimento per rimuovere tutti i suoi investimenti pubblici e privati nell’industria dei combustibili fossili entro il 2031. Sulle scelte delle università hanno pesato le campagne studentesche e il Trinity si impegnerà inoltre per raggiungere zero emissioni nette di carbonio prima del 2050, in linea con l’accordo di Parigi sul clima.

Anche in Italia il movimento di opinione studentesco ha dato ulteriore impulso al tema dell’università ad impatto zero, che era già prioritario nelle istituzioni accademiche. La Rus, promossa dalla Conferenza dei rettori, è nata già nel 2015 per coordinare e condividere le esperienze sui temi della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale. Oltre a diffondere le buone pratiche di sostenibilità, sia all’interno che all’esterno degli Atenei, la Rus promuove gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, rafforza la riconoscibilità e il valore dell’esperienza italiana a livello internazionale e si propone come modello di buona pratica da estendere anche ad altri settori della pubblica amministrazione.

Un esempio di questo radicamento nel territorio e di estensione delle buone pratiche è la prima edizione del Master MATE – Management della Transizione Ecologica, presentato venerdì 12 marzo dalle Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con l’Associazione TES (Transizione ecologica solidale). Il master ha l’obiettivo di formare delle figure trasversali, dei facilitatori da inserire all’interno delle organizzazioni pubbliche o private, per aiutarle ad adattare i loro modelli organizzativi e produttivi in chiave sostenibile.

Quanto alle azioni concrete già messe in atto dalle università italiane per ridurre la loro impronta ecologica Stefano Caserini, coordinatore del gruppo di lavoro cambiamenti climatici della RUS e docente del politecnico di Milano osserva: “Le nostre università non sono grandi investitori come quelle straniere, per cui si adoperano prima di tutto per decarbonizzare i loro consumi. Sono già numerose le buone pratiche per agire sulle fonti delle emissioni di CO?, per esempio con una gestione accorta del riscaldamento e del raffreddamento dei locali, oppure con la razionalizzazione in chiave sostenibile dei trasporti di accesso al campus di docenti e personale. Inoltre – spiega il coordinatore della Rus – si ripensa il sistema dei trasporti per le missioni del personale e si studiano le modalità per ridurre i consumi elettrici aumentando l’efficientamento”.

Caserini pone poi l’accento sulla necessità che le iniziative delle università ad impatto zero non siano interventi isolati: “Il dinamismo degli atenei sui temi della sostenibilità ambientale non può prescindere da un intervento di sistema a livello nazionale. Le università hanno affrontato il problema da subito, ma l’innovazione deve riguardare tutto il Paese: si tratta di azioni che, seppure possano sembrare una minima cosa, hanno ritorni economici non solo sulle bollette degli atenei. Tuttavia, ridurre l’impatto della ricerca e delle buone pratiche della sostenibilità ambientale al punto di vista economico sarebbe assai riduttivo – conclude-, perché i benefici sono molto maggiori, sia in termini di vivibilità delle strutture, sia in termini di impatto sociale. L’idea alla base della nostra Rete è che le università vogliono ascoltare le istanze che vengono dagli studenti e partire per prime, perché proprio gli atenei sono i luoghi in cui più si sviluppano le idee”.

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