I vincitori dei Grant Erc scendono in campo: "Le nostre proposte per rilanciare la ricerca in Italia"

Una lettera aperta al direttore de La Repubblica, così alcuni dei ricercatori più brillanti del nostro Paese sono voluti scendere in campo nel dibattito che proprio il conferimento dei Grant Erc (European Rresearch Council) ad alcuni di loro ha aperto da diverse settimane. Un’analisi di quelle che sono le attuali difficoltà del sistema Italia per quanto riguarda la ricerca scientifica, il ruolo degli studiosi nelle università e gli investimenti pubblici in materia; poi sette proposte concrete per provare ad invertire la rotta.
Sette proposte provenienti direttamente da coloro che hanno sperimentato le chiusure e le storture del sistema italiano e hanno scelto, o sono stati costretti a scegliere, di aprirsi la strada all’estero. Riportiamo di seguito la lettera redatta da Giulio Biroli, Roberta d’Alessandro e Francesco Berto pubblicata su Repubblica e controfirmata da altri 12 colleghi vincitori di Grant Erc:
 
Caro direttore, la ricerca italiana è al centro del dibattito politico delle ultime settimane. Il dato che ha originato la discussione riguarda i progetti finanziati dallo European Research Council: su 30 ricercatori con passaporto italiano che hanno ottenuto un ERC Consolidator 2015 (un finanziamento molto prestigioso che può arrivare a due milioni di euro), ben 17 lavorano all’estero (fonte: ERC). Viceversa, la mobilità in entrata è imbarazzante: il numero di ERC Consolidator in arrivo in Italia è zero.
La circostanza non si è verificata solo quest’anno: la quota dei finanziamenti ERC destinati all’Italia è rimasta pressoché invariata sin dal 2007, il primo anno del programma. Ad esempio, nel 2013 i passaporti italiani con ERC Starting o Consolidator Grant erano 63, di cui ben 36 all’estero. L’Italia destina ai PRIN (Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) 92 milioni di euro in tre anni (il bando PRIN del 2015 arriva dopo due anni di assenza!). Ma, negli stessi tre anni 2013-2015, l’Italia ha perso ben più di 92 milioni di Euro solo fra ERC Starting e Consolidator. Questi dati confermano un’evidenza drammatica: l’Italia ha smesso da tempo di puntare sulla ricerca. Perde molti dei suoi giovani più brillanti e sottofinanzia quelli che rimangono. Il disavanzo fra ricercatori in entrata e in uscita, che si protrae da numerosi anni, porterà a breve termine alla desertificazione accademica, con conseguenze disastrose e irreversibili per il Paese. La preoccupazione per quanto sta accadendo ci ha uniti nel tentativo di individuare le principali cause di questo progressivo impoverimento e nel desiderio di proporre alcune soluzioni che, speriamo, possano fornire un punto di partenza per un piano di ristrutturazione radicale del sistema italiano della ricerca.
I PROBLEMI
1. Estrema scarsità di fondi e investimenti
Fra il 2003 e il 2013 l’Italia ha speso in ricerca e sviluppo l’1,05-1,27% del PIL (fonte: Eurostat). La Francia ha speso il 2,09-2,23%. La Germania il 2,42-2,88%. Per competere con questi Paesi l’Italia dovrebbe raddoppiare i fondi destinati a ricerca e sviluppo. Le cifre includono fondi pubblici e privati, il che vuol dire che sono le politiche combinate di Stato e impresa ad essere gravemente inadeguate per la ricerca.
2. Mancanza di trasparenza nell’attribuzione dei fondi
I criteri per l’attribuzione dei fondi a ricercatori, gruppi e centri di ricerca sono opachi. Una pratica disdicevole è, ad esempio, quella di far lavorare i ricercatori più giovani e senza posto fisso alla richiesta di finanziamenti che, se ottenuti, vengono poi utilizzati in larga parte dagli accademici strutturati. Inoltre, gli indici considerati non vengono esplicitati con il dovuto anticipo, e fanno riferimento a parametri non conformi a quelli accettati dalla comunità internazionale. Le riviste di classe A indicate dall’ANVUR spesso non coincidono con quelle considerate per le valutazioni internazionali.
Se i (troppo pochi) fondi vengono poi concepiti come mera retribuzione di prestazioni, non sono visti come investimenti mirati anche a creare valore aggiunto: altri posti di ricerca. Evidenza che siano così concepiti è lo scarso rilievo dato al rientro dei ricercatori italiani con ERC. Un ERC è appunto il tipo di finanziamento che crea ulteriori posti di ricerca, perché chi lo ottiene ha di norma ingenti fondi per assumere ricercatori e dottorandi. Ma il decreto Ministeriale del 28 dicembre 2015 n. 963 offre ai destinatari di ERC Consolidator, che spesso sono già ordinari, un posto da ricercatore a tempo determinato o da professore di ruolo di II fascia, e ai destinatari di ERC Starting Grant, che spesso sono già associati, un posto da ricercatore a tempo determinato. Naturalmente, questo è un disincentivo per buona parte di noi.
3. Mancanza di trasparenza nelle assunzioni, incertezza dei regolamenti.
L’accademia italiana è gravemente gerontocratica. Dei 13.263 professori ordinari, il numero degli under 40 è sei (fonte: MIUR). L’età media degli ordinari è 59 anni, quella degli associati 53, quella dei ricercatori 46. I giovani hanno una probabilità bassissima di essere assunti a tempo indeterminato. Questo spinge molti di loro ad andarsene dall’Italia e inquina il sistema nostrano che diventa sempre meno meritocratico: le assunzioni vengono fatte in base al tempo di attesa del proprio turno, indipendentemente dal lavoro svolto e dai risultati raggiunti. Così i giovani sono ridotti in condizioni di precariato, sudditanza e miseria economica. Fra il 2003 e il 2013, circa 65.000 ricercatori hanno lavorato in Italia con incarichi temporanei. Il 93% di questi non ha ottenuto un posto a tempo indeterminato nelle università italiane (fonte: Flc-Cigl). In alcuni settori dell’accademia italiana vengono inoltre tollerati curriculum costituiti perlopiù da pubblicazioni in riviste locali, e/o con editori che non praticano seri e sistematici referaggi anonimi. Per ovviare a questi problemi il sistema subisce continue ristrutturazioni. L’incessante evoluzione dei regolamenti risulta in un’incertezza cronica sulla disponibilità di posizioni accademiche e nella scarsa trasparenza dei criteri che permettono di accedervi.
QUALCHE PROPOSTA
È un’ovvietà che l’Italia debba investire molti più soldi in ricerca, al fine di ricreare un terreno fertile il suo sviluppo. Un paio di idee su come farlo:
1. Estrema scarsità di fondi e investimenti: grant per i giovani ricercatori e finanziamenti ai dipartimenti virtuosi.
Grant per giovani ricercatori. Non solo l’ERC con il sistema Starting/Consolidator/Advanced, ma anche vari Paesi europei (ad esempio l’Olanda, con il sistema VENI/VIDI/VICI), riservano fondi per ricercatori giovani in termini di anni a partire dal conseguimento del dottorato. Essi possono così evitare di competere con ricercatori che hanno un CV più robusto semplicemente perché sono più anziani. Questi finanziamenti sono completamente diversi da quelli destinati alle posizioni precarie da ricercatore a tempo determinato, o agli assegni di ricerca per una persona, del sistema italiano. Le differenze sono almeno cinque: (1) le somme sono ingenti (ad esempio: in Olanda si arriva a 250.000 euro per un grant ottenibile con massimo 3 anni di anzianità dal conseguimento del dottorato, 800.000 per un un grant con massimo 8 anni, 1,5 milioni per un grant con massimo 12 anni di anzianità); (2) le somme sono destinate anche a stipendiare gruppi di ricercatori che lavoreranno con chi ottiene il finanziamento, generando così ulteriori posti e attività di ricerca; (3) tali somme aiutano i giovani a ottenere ulteriori fondi in seguito (per ottenere un ERC è indispensabile poter dimostrare di aver già diretto progetti di ricerca, per esempio); (4) i progetti “con limite di anzianità” incentivano l’assunzione di giovani da parte dei dipartimenti che vogliano ottenere fondi; (5) i fondi vengono banditi ogni anno, permettendo una pianificazione dell’attività progettuale tesa a massimizzare i risultati.
Fondi assegnati a dipartimenti virtuosi. I dipartimenti che riescano a dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi di ricerca dovrebbero aver diritto a fondi aggiuntivi, oltre che a fondi strutturali e di base. I criteri per la loro distribuzione devono essere stabiliti con anni di anticipo, non ex post. Tali criteri possono essere, ad esempio, il numero e il valore dei grant ricevuti; il numero di brevetti ottenuti; le pubblicazioni in riviste internazionali con seri referaggi anonimi; le citazioni ottenute, calcolate in conformità alle pratiche internazionali nelle diverse aree di ricerca.
2. Mancanza di trasparenza nell’attribuzione dei fondi: un’agenzia per la ricerca e la mobilità dei ricercatori
Creare un’agenzia per la ricerca, che gestisca l’assegnazione di fondi in base a giudizi espressi da commissioni a forte carattere internazionale. Per evitare l’autoreferenzialità accademica, i dipartimenti “virtuosi” dovrebbero ottenere più fondi aggiuntivi. I fondi di ricerca non andrebbero quindi assegnati tutti direttamente alle università o ai gruppi di ricerca, ma andrebbero in misura cospicua assegnati a progetto, con selezione effettuata da una commissione che comprenda molti membri internazionali. Il compito di selezionare i progetti meritevoli di finanziamento dovrebbe essere assegnato a un’Agenzia per la ricerca (sul modello della NSF americana, della DFG tedesca, della NWO olandese, e dell’ERC europea) o a un ente accreditato presso la Presidenza del Consiglio, che abbia come scopo l’organizzazione dei bandi per i progetti e quindi la gestione dei fondi per la ricerca stanziati da tutti i ministeri competenti. Ottenendo questi fondi, un ricercatore potrà dimostrare di essere competitivo, e il suo dipartimento potrà ottenere fondi aggiuntivi.
È essenziale per la competitività dei ricercatori a livello internazionale, che i fondi loro assegnati siano realmente gestiti da loro. Vanno evitate a ogni costo situazioni in cui i più anziani strutturati di fatto controllino le risorse in questione? I criteri per la valutazione di un ricercatore o di un gruppo di ricerca variano notevolmente a seconda della disciplina e dell’area. Ma è importante che si stabiliscano, dietro consultazione di ricercatori e studiosi dell’area, criteri di valutazione che rispecchino quelli accettati dalla comunità internazionale.
Incentivare la mobilità dei ricercatori. La scarsa mobilità di alcuni membri di una comunità scientifica può portare all’atrofizzazione del gruppo di ricerca a cui essi appartengono. Per incentivare la circolazione delle idee e rompere il meccanismo del “mettersi in coda per anni aspettando un lavoro nel proprio gruppo” proponiamo, seguendo il modello di diversi Paesi europei, che lo scatto di carriera più basso non possa essere effettuato nell’università di provenienza: l’entrata nel mondo della ricerca come ricercatore o professore associato deve avvenire in una sede diversa dalla propria alma mater.
Favorire l’entrata di ricercatori provenienti dall’estero e combattere la fuga dei cervelli. Per evitare la fuga dei cervelli e attrarre invece ricercatori eccellenti dall’estero, l’Italia potrebbe proporre a tutti i ricercatori che concorrono per un bando ERC basato in Italia il finanziamento del progetto, qualora questo abbia ottenuto il giudizio “eccellente ma non finanziabile per mancanza di fondi” (A2). Questa manovra, che corrisponderebbe a una cinquantina di milioni di euro all’anno, sarebbe un incentivo per ricercatori brillanti, italiani e stranieri, a sviluppare il proprio progetto in Italia: creerebbe un flusso entrante di cervelli e sosterrebbe i più brillanti ricercatori del paese.
3. Mancanza di trasparenza nelle assunzioni, incertezza dei regolamenti: un numero ricorrente e rilevante di assunzioni per anno e apertura dei concorsi
Chiari percorsi di carriera. Allo scopo di attrarre ricercatori dall’estero e non far scappare molti dei migliori ricercatori italiani, è necessario presentare loro un piano chiaro per lo sviluppo della propria carriera. È cruciale a questo fine che un numero ricorrente e ingente di assunzioni di prima fascia venga effettuato ogni anno. Inoltre, le modalità secondo cui possano avvenire gli avanzamenti di carriera devono essere chiare e stabili nel tempo. Le manovre straordinarie di assunzione una tantum sono viceversa dannose: aumentano l’incertezza della posizione dei ricercatori precari e non permettono una seria pianificazione del lavoro di ricerca.
Apertura nei concorsi e commissioni aperte. Il principio fondamentale della trasparenza nelle assunzioni accademiche è che chiunque faccia domanda per un posto, che preveda tempo per la ricerca, debba accettare di essere valutato dalla comunità internazionale che fa ricerca nel suo campo, nel rispetto dei suoi standard. I bandi vanno pubblicizzati il più possibile, su piattaforme internazionali e almeno in inglese. Con le ovvie eccezioni, è necessario che i bandi siano presentati nella lingua internazionale della disciplina. Alcuni sistemi accademici lasciano ai dipartimenti o alle facoltà ampia libertà di scegliere chi assumere. Dubitiamo che una modalità selettiva interna ai dipartimenti e alle facoltà, o al massimo di scambio tra le università italiane, possa contribuire al progresso scientifico della Nazione, a causa dei summenzionati problemi di trasparenza. Sarebbe auspicabile che le commissioni fossero, al contrario, molto ampie e che, per evitare la trappola del favoritismo voluto o involontario, comprendessero il maggior numero possibile di membri internazionali.
Scritto da:
Giulio Biroli (Consolidator 2011) Institute of Theoretical Physics, Commissariat à l’Energie Atomique, France
Roberta D’Alessandro (Consolidator 2015) Leiden University Centre for Linguistics, University of Leiden, The Netherlands
Francesco Berto (Consolidator 2015) Institute for Logic, Language and Computation, University of Amsterdam, The Netherlands
Firmato da:
Nicola Aceto (Starting 2015) Faculty of Medicine, University of Basel and University Hospital Basel, Switzerland
Luca Caricchi (Starting 2015) Department of Earth Sciences, University of Geneva, Switzerland
Vincenzo Cerullo (Consolidator 2015) Center for Drug Research, University of Helsinki, Finland
Gianluca Crippa (Starting 2015) Department Mathematik und Informatik, Universität Basel, Switzerland
Caterina Doglioni (Starting 2015) Lund University, Fysikum Division of Particle Physics, Sweden
Raffaella Giacomini (Consolidator 2015) Drayton House, London’s Global University, United Kingdom
Nicola Mai (Consolidator 2015) Department of Criminology and Sociology, Kingston University London, United Kingdom
Valentina Mazzucato (Consolidator 2015) Faculty of Arts and Social Sciences, Maastricht University, the Netherlands
Paolo Melchiorre (Consolidator 2015) Institut Català d’Investigació Química, Spain
Valeria Nicolosi (Consolidator 2015) School of Chemistry, Trinity College Dublin, Ireland
Cristina Toninelli (Starting 2015) Université Paris Diderot-Paris 7, UFR de Mathématiques, France
Rinaldo Trotta (Starting 2015) Institute of Semiconductor and Solid State Physics, Johannes Kepler University, Austria

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