Covid, come si cerca la mutazione del virus all’Università Bicocca

Nei laboratori dell’università Bicocca si decodificano il virus per anticipare le possibili varianti. Somiglianze e differenze tra le varianti Alfa, Beta, Delta e Omicron

Intercettare una nuova forma del virus prima che si stabilizzi, identificare le sentinelle durante la nascita, che possono rivelare una mutazione pericolosa. La ricerca in corso all’Università Bicocca, con oltre 250 mila sequenziamenti del virus covid-19, è oggi la più vasta al mondo in questo campo. L’ateneo meneghino, come riporta il Corriere della Sera, ha messo insieme una squadra di ricercatori coordinati da Daniele Ramazzotti, tra il dipartimento di Medicina e Chirurgia con il professor Rocco Piazza, quello di Informatica, sistemistica e comunicazione con il professor Marco Antoniotti, Fabrizio Angaroni, Davide Maspero, e, infine, l’Istituto di Bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr con ricercatore Alex Graudenzi.

Mutazione, l’identificazione genetica

Un lavoro che ruota intorno a un concetto primario: il “sequenziamento” di cui si parla molto è di fatto l’identificazione della “carta d’identità” genetica di ogni campione di virus. E si può attuare a due livelli. Il primo e più comune è quello della “sequenza consenso”: si analizza il materiale virale recuperato con i tamponi e si confronta con la sequenza del virus originale. Dal paragone, per ogni base si ottiene un sì o un no, un uguale o diverso. Il confronto rivela dunque se quel campione di virus appartiene alla variante Alfa, Beta, Delta, Omicron e così via. “La sequenza consenso è uno strumento fondamentale per misurare e tracciare le mutazioni circolanti, ma è particolarmente efficace per quelle già fissate. Tuttavia, ogni nuova mutazione si origina tipicamente prima come minore e solo successivamente riesce ad espandersi e diventare fissata, e questo a volte succede quando presenta un vantaggio funzionale, come ad esempio la capacità di consentire al virus di replicarsi più in fretta o di essere più resistente alla risposta del sistema immunitario”.

Sequenziamento profondo

Un altro possibile approccio, assai più complesso, è il “sequenziamento profondo”. Fornisce informazioni più granulari e permette di individuare le mutazioni dette “minori”, in una certa fase di trasformazione possono comparire soltanto nel 5 o 10 percento del materiale virale che viene trasmesso con il contagio da una persona A, a una persona B. Con le analisi basate sulle sequenze consenso, a volte potrebbe essere complicato quantificare il periodo che va dal momento in cui le mutazioni si generano (come “minori”), fino a quando si fissano. Ovviamente non accade in tutti i casi, dato che il virus può a volte selezionare mutazioni vantaggiose e replicarle, mentre altre possono scomparire. Con il sequenziamento profondo, la ricerca tenta di rilevare questo processo in anticipo, mentre il virus “cerca” la mutazione che potrà avvantaggiarlo maggiormente e la stabilizza.

Omicron e le altre varianti

Individuare quale mutazione verrà scelta dal virus per essere stabilizzata, potrebbe dare un vantaggio per combatterlo. “Le varianti di cui parliamo — spiega Ramazzotti — non sono altro che forme del virus che presentano un insieme di mutazioni considerate funzionali. La Delta, ad esempio, ha quattro mutazioni sulla proteina Spike che sono state segnalate come potenzialmente capaci di avere un impatto. Se in una serie temporale riuscissimo a vedere una mutazione che cresce nella diffusione, passando magari dal 5, al 10, poi al 20 per cento, potremmo iniziare a ipotizzare che quella mutazione si stia fissando e potrebbe diventare deleteria”.

Cosa emerge dalla carta d’identità di Omicron? “Per prima cosa il fatto che presenta molte più mutazioni (oltre 30 funzionali e non) sulla proteina Spike, rispetto ad altre varianti che ne avevano meno, come ad esempio Alfa e Beta che ne presentano rispettivamente 3 e 5 potenzialmente rilevanti — risponde Ramazzotti —. In più Omicron ha in comune con Beta una mutazione che è ritenuta in grado di indurre un parziale effetto di “immune escape” nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali. Inoltre, ha alcune mutazioni in comune con Alfa e Delta che si pensa possano avere impatto. È questo lo scenario che desta preoccupazione”.

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