Altre due università giapponesi discriminavano le donne

Hanno ammesso che avevano pratiche per favorire gli uomini nei test di ingresso, aggravando lo scandalo di questa estate sull’Università di Medicina di Tokyo

L’università di Juntendo e quella di Kitasato, entrambe di Tokyo, hanno ammesso di avere discriminato le donne nel processo di selezione, aggravando lo scandalo giapponese nato nell’estate scorsa dopo la scoperta che una significativa pratica discriminatoria era in vigore da oltre 10 anni all’Università di Medicina di Tokyo. Le università hanno ammesso di aver fissato standard più alti per i test di ingresso delle donne, giustificandosi con il fatto che le donne dell’età di chi normalmente prova il test sono più mature e capaci degli uomini.
«Le donne maturano mentalmente più velocemente degli uomini, e le loro abilità comunicative sono più alte quando provano il test dell’università. In un certo senso, era una misura per aiutare i candidati maschi» ha ammesso Hiroyuki Daida, rettore dell’università di medicina di Juntendo. L’ammissione dell’università è arrivata dopo la pubblicazione di un rapporto indipendente avviato dopo lo scandalo dell’Università di Medicina di Tokyo.
La pratica all’università di Juntendo andava avanti dal 2008: concretamente, l’università richiedeva un punteggio maggiore alle donne nel test d’ingresso perché fossero selezionate. Il test in questione prevedeva un colloquio orale, per il quale l’università riteneva che gli studenti maschi sarebbero stati penalizzati per via delle loro minori capacità comunicative: chiedere un voto più basso agli uomini, quindi, era un modo per riequilibrare le cose, dal loro punto di vista. Secondo il rapporto indipendente, poi, l’università aveva fornito giustificazioni ritenute «inaccettabili» sul perché l’università non potesse aumentare i posti nei dormitori a disposizione delle studentesse.
L’università di Kitasato ha ammesso di aver dato la precedenza ai candidati maschi nei ripescaggi per poter partecipare al test di ingresso fatti tra gli studenti che avevano provato e fallito l’esame nelle sessioni precedenti.
Negli ultimi due anni, all’università di Juntendo gli uomini hanno avuto 1,67 volte più possibilità delle donne di passare il test, e la differenza tra la percentuale di candidati maschi e candidate femmine ammessi era la più alta di qualsiasi altra università presa in considerazione nel rapporto. Inizialmente l’università di Juntendo aveva negato di aver adottato queste pratiche discriminatorie, spiegando soltanto di aver fatto alcune correzioni al sistema di valutazione per i maschi e per le femmine. Soltanto la pubblicazione del rapporto indipendente ha portato a un’ammissione di colpa. Il presidente dell’università Hajime Arai ha chiesto scusa alle candidate ingiustamente respinte sostenendo che «ai tempi, ritenemmo che le misure fossero ragionevoli e che rientrassero nella discrezione dell’università. Metteremo fine a questa pratica accusata di essere inappropriata».
Lo scorso agosto si era scoperto che l’Università di Medicina di Tokyo, una delle migliori del Giappone, aveva falsificato per oltre un decennio i risultati dei test d’ingresso per limitare il numero delle studentesse ammesse al 30 per cento del totale. La discriminazione contro le donne, praticata nella convinzione che le donne, una volta sposate o diventate madri, non fossero più in grado di coprire i turni richiesti nel lavoro in ospedale, era stata scoperta grazie a un’indagine in corso su un caso di presunta corruzione. Ne era nato un grande scandalo che aveva portato ad accertamenti anche sulle altre università del paese.
Il primo ministro giapponese Shinzo Abe è da tempo criticato per l’inefficacia del suo progetto per aumentare l’occupazione tra le donne del paese, e in generale per una mancanza di attenzione al tema. Secondo la Banca Mondiale, le donne rappresentano oggi il 43 per cento della forza lavoro del paese, ma sono poco rappresentate in alcune professioni, tra cui la medicina: nel 2017 il Forum Economico Mondiale classificò il Giappone al 114esimo posto tra i paesi del mondo per l’uguaglianza di genere.

 
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