“Abolire i voti a scuola”: la proposta del ministro francese fa discutere anche i docenti italiani

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Abolire i voti a scuola, mantenerli o sostituirli con un nuovo sistema di valutazione? Questo il dilemma che sta affrontando in questi giorni il ministro dell’Istruzione francese, Benôit Hamon. Un problema, questo, che praticamente tutti i predecessori di Hamon hanno dovuto affrontare, ma che rimane questione aperta nel sistema scuola transalpino.

Per risolverlo una volta e per tutte, Hamon ha deciso di affidarsi ad una “conferenza nazionale sulla valutazione degli alunni” che avrà il difficile compito di fare il punto della situazione e di dover provvedere a dare una soluzione entro il prossimo Dicembre.

La riflessione di Hamon, parte dai dati rilevati dall’ultimo studio triennale Pisa (Programme for International Student Assessment) pubblicato dall’Osce: “L’ultima inchiesta Pisa lo ha dimostrato: i giovani francesi sono quelli che temono di più l’errore e che presentano i tassi più elevati di non risposta alle domande, per paura di sbagliare – ha dichiarato il ministro – È il momento di tornare a riflettere su un nuovo modo di valutare, al servizio dell’apprendimento e dei progressi degli allievi”.

Un sistema scolastico, quello francese, profondamente cambiato dopo il 1968, con l’avvento alla ribalta delle contestazioni e dei movimenti giovanili. Non abbastanza, però, da garantire una scuola egualitaria e rispettosa delle diversità, almeno secondo l’opinione dell’attuale ministro dell’Istruzione.

E il dibattito ha già vacato i confini d’oltralpe per trovare terreno fertile anche nel nostro Paese: “Fanno i bene francesi, il voto è un’arma impropria», dice Francesco Dell’Oro, a lungo responsabile dell’orientamento scolastico per il Comune di Milano e autore di La scuola di Lucignolo (Urra-Feltrinelli) – Eviterei i voti nella scuola primaria e alle medie. A livello personale ti esaltano se sei bravo e ti feriscono se sei in difficoltà. Nella classe aizzano i confronti, mentre oggi la capacità di fare gruppo è la competenza più richiesta sul lavoro. Invece di far capire ai ragazzi che la difficoltà è un’opportunità di crescita, creano situazioni giudicanti che diminuiscono la loro autostima”.

Di parere opposto Paola Mastrocola, docente in un liceo torinese, romanziera e saggista (Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare , Guanda): “La convinzione di non dover frustrare gli studenti è un errore clamoroso. Oggi diamo sei a tutti, perché siamo noi adulti i primi a non sopportare la frustrazione. Se metto insufficienze, il giorno dopo mi arrivano i genitori, e spesso piangono – continua Mastrocola – Invece un ragazzo ha bisogno di un adulto che davanti a un compito sbagliato glielo dica in modo deciso: è orribile”. Piuttosto, se non se ne ha il coraggio, meglio allora “fare saltare voti, promozioni, bocciature. Ognuno arrivi dove arriva e noi certifichiamo il livello – propone – Almeno così restituiamo responsabilità al singolo individuo”.

Sulla questione è intervenuta anche il Presidente dell’Invalsi, la professoressa Anna maria Ajello: “Non dare voti brutti non significa che non bisogna valutare. Ma che si può fare in un modo diverso – ha spiegato la Ajello – I giudizi sono un modo per informare gli alunni del loro rendimento: se indicano ciò che va bene, ciò che va male e ciò che va migliorato non c’è il rischio di stigmatizzare comportamenti che poi finiscono per etichettare i ragazzi con la tipica frase “non è portato per””.

Insomma, la questione rimane aperta e non è detto che i lavori della commissione voluta da Hamon portino a risultati definitivi. Chissà che non si arrivi a soluzioni del tipo di quelle adottate, in tempi non sospetti, dal maestro Alberto Manzi che, a chiusura di ogni sua scheda di valutazione scriveva semplicemente: “Ha fatto quel che può, quel che non può non fa”.

 

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