L’automedicazione è un affare serio. Affare nel senso più capitalistico del termine. Gli Italiani, tanto per avere un’idea, versano alle industrie farmaceutiche 413,62 euro l’anno a testa. Un tesoro ragguardevole per un sistema di megaimprese che cerca comunque, come tutte le oligarchie, di espandersi sempre di più. Così si spiega – in parte – il proliferare delle giornate dedicate alla sensibilizzazione medica, o la martellante pubblicità di prodotti per i quali è bene “leggere sempre il foglio illustrativo”.
E’, in pratica, una corsa all’insicurezza. Una fabbrica di malattie che ha, come prodotto finito, il mal comune intero gaudio per pochi. Corsa che parte da lontano: oltre trent’anni fa, infatti, Henry Gadsen, pensionando direttore di Merck, megaindustria delle medicine, disse: “Sogniamo di produrre farmaci per le persone sane”. Da allora, molta della vita dei cittadini è stata medicalizzata: l’invecchiamento, ad esempio, o la gravidanza, ma anche la crescita e – pure – la sessualità.
Scriviamo una proporzione: una recente ricerca svolta negli USA quantifica nel 3,9% dell’intera spesa sanitaria annuale l’impatto della medicalizzazione di situazioni non trattate fino a qualche decina di anni or sono come la timidezza, le disfunzioni erettili o la calvizie. Adesso, nella nostra proporzione sostituiamo il termine “Stati Uniti” con “Italia”. Il risultato di quel 3.9% fa 4 miliardi di euro. Potremmo spenderli meglio?
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