A soli 24 anni, Alì Ehsani da Kabul è arrivato a Roma aggrappato sotto un camion. Nel viaggio ha perso il fratello, ma non la sua determinazione e oggi ha una borsa di studio alla Sapienza. «Sogno un futuro nelle istituzioni» L’articolo di Carlotta Di Leo per il Corriere della Sera
A 24 anni, Alì Ehsani, è alla sua terza vita: quella di uno studente modello, iscritto al secondo anno di Giurisprudenza all’università La Sapienza di Roma. Ma la sua storia inizia lontano, in Afghanistan, in un villaggio vicino a Kabul raso al suolo dai bombardamenti. «Ero a scuola, mi salvai ma rimasi orfano. Il mio unico punto di riferimento era mio fratello Mohammad, che aveva nove anni più di me. Mi disse: “Non ti preoccupare, siamo liberi come uccelli”». E qui inizia la seconda vita di Ali, quella in cammino.
Per quattro anni i due ragazzi resi esuli dalla guerra hanno attraversato settemila chilometri per arrivare in Europa. «Prima in Pakistan, poi in Iran. Mio fratello lavorava anche per mandarmi a scuola. Passando dai monti di Tabriz, siamo arrivati in Turchia: Mohammad, che si è imbarcato prima di me, è morto in mare su quel gommone diretto in Grecia». Alì che ora ha 12 anni e nessuno più al mondo che badi a lui, non resta molto sulle sponde della Turchia grazie all’aiuto dell’ex datore di lavoro del fratello: un «uomo buono» che gli regala quegli 800 dollari che gli scafisti pretendono per prendere il largo.
La Grecia non è che una tappa del suo cammino: «Mi aggrappai alla pancia di un camion. Volevo andare in Germania o in Svezia, ma il mio viaggio si fermò a Venezia. Dopo 24 ore senza dormire né mangiare, mi sentii male. Quando il bestione si fermò al semaforo, il ragazzo che era con me fece in tempo a scendere. Io, annebbiato dalla stanchezza, rischiai di finire sotto le ruote. Mi salvò una donna che dalla sua auto vide tutto e riuscì a fermare l’autista». Ali viene portato in ospedale e «condannato» a rimanere in Italia: «Mi presero le impronte digitali e ho chiesto asilo. Se ci ripenso ora, capisco che è stata una fortuna. Qui in Italia mi sento a casa, soprattutto a Roma».
A 13 anni, quindi, Ali inizia la sua terza esistenza. Prima in una casa famiglia e poi alla «Città dei ragazzi» di Roma, una scuola-comunità che si occupa dei minori stranieri «non accompagnati», un’etichetta che nasconde storie come questa. Qui impara non solo l’italiano («in poco tempo già sapevo parlare e scrivere, è stato come bere un bicchiere d’acqua»), ma anche diversi mestieri. «Ho 12 diplomi, dal piazzaiolo al disegno in Autocad. Studiavo tantissimo, non mi fermavo mai – dice – Ma soprattutto ho conosciuto persone che mi hanno dato fiducia. Il professor Eraldo (Affinati, che ha raccontato la sua storia nel libro «La città dei ragazzi», ndr) soprattutto è stato un punto di riferimento: avevo paura di diventare un barbone o, peggio, un delinquente. Lui mi insegnò che, studiando, potevo arrivare dove volevo».
Il diploma in ragioneria arriva a 22 anni (con un mirabile 79) e poi l’università. «Sono in regola con gli esami, ne ho già fatti 16 e ho la media del 26. Volevo anche iniziare in anticipo gli esami del terzo anno, ma non ce l’ho fatta per un soffio. Sono costretto ad andare veloce – dice – mi serve per la borsa di studio e per l’alloggio». Sì, perché la retta Alì non se la può proprio permettere e per vivere lavora di sera come pony-pizza, nel week end fa lo steward allo stadio Olimpico e le «vacanze» le passa come manovale idraulico. «Non ho paura dei sacrifici, penso solo ai risultati. Mi spiace solo non poter dedicare più tempo alla mia fidanzata Violeta: quando sono sotto esame dice che l’abbandono. Mi si stringe il cuore, ma davvero non posso rallentare: lo devo anche a mio fratello».
E dopo la laurea? «Mi piacerebbe lavorare nelle forze dell’ordine. Da quando faccio lo steward mi sono reso conto di quanto sia importante far rispettare le regole per la sicurezza di tutti» spiega. E aggiunge: «Vorrei entrare nella pubblica amministrazione per applicare le norme che ora studio sui libri. Chi come me, straniero o no, ha avuto a che fare con la burocrazia si rende conto di quanti diritti siano calpestati. A cominciare dalla trasparenza».
In futuro, forse, Ali tornerà («da turista») in Afghanistan: «Leggo i giornali, la situazione sta migliorando, ma fino a quando la stragrande maggioranza della popolazione rimarrà analfabeta non ci potrà essere un vero progresso».
Ma c’è un altro motivo per tornare a Kabul: «Mi piacerebbe andare a vedere dove vivevo, non ricordo neanche il nome del villaggio. Più è nebuloso il ricordo, più è lontana la felicità».