Solo in Italia non si possono prendere due lauree contemporaneamente: “Così perdiamo anni preziosi”

due lauree

Chiara, Vincenzo, Nicola. Sono tutti italiani. Sono tutti iscritti all’Università, sono tutti eccellenti studenti. Peccato, però, che una legge del 1933 vieti loro di avere una doppia laurea, facendo loro perdere anni e anni essenziali di studio.

Vincenzo è solo il primo a sollevare il caso. Era il 23 luglio del 2013, e sulle pagine del Corriere dell’Università lanciava un’appello all’allora ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza: “Perché non si premiano gli studenti che hanno dato di più di altri, invece di penalizzarli dato che hanno perso anni con gli studi?”

Poi è toccato a Chiara, che ha speso 10 anni in Ateneo per ottenere due lauree quinquennali, e ora si sente troppo vecchia per studiare: “Ho 31 anni e, dopo due lauree quinquennali, in Lingue Orientali e in Giurisprudenza, sto frequentando un PhD in diritto giapponese, in co-tutela Italia-Giappone. Per poter svolgere correttamente il mio progetto di ricerca, che abbraccia due discipline molto diverse tra loro, sono stata costretta a studiare per dieci anni presso due Università italiane, pagando quindi circa 20.000 € di tasse universitarie”.

Il punto è proprio questo: negli altri Paesi europei gli studenti possono iscriversi contemporaneamente a due corsi universitari, conseguendo la doppia laurea al termine dei cinque anni. Si è finiti, così, ad entrare nel mondo del lavoro troppo tardi: “Dato che in Italia è vietato frequentare contemporaneamente due corsi di laurea (anche nello stesso Ateneo), mi sono dovuta laureare due volte, immettendomi nel mercato del lavoro a 30 anni invece che a 24, e mi sono sentita dire dire dai recruiter che ormai sono “troppo vecchia”, dato che in Europa i giovani si laureano a 22 anni. Anche i concorsi pubblici prevedono spesso un limite di età, quindi mi sono trovata esclusa persino da quelli”.

Infine, tocca a Nicola, studente universitario di Bari, che segue lezioni tutto il giorno anche se per lo Stato è iscritto solo a un corso: “Io vorrei fare di più. Però vorrei farlo in Italia. Sono disposto a sacrifici, a impegnarmi al massimo: seguo già lezioni per esami che non posso sostenere. E a Giurisprudenza ho la media del 30”.

“Quello che viene descritto nella lettera dello studente, che poi è finita in rete, si riferisce ad una lettera che mi ricordo benissimo – ha commentato questa mattina l’ex ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. Il caso è noto e riguarda pochi studenti molto bravi. Per risolvere il problema formalmente occorre cambiare la legge”.

“Durante il mio mandato abbiamo risposto a decine di quesiti toccando il problema dell’efficienza burocratica, che si risolve solo con una revisione profonda dei processi – continua Carrozza. L’unica è affrontare il problema a livello dell’università locale e con l’università di Pisa ho affrontato questo tema più volte, per studenti e allievi della mia Scuola che avevano aspirazioni simili”. Intanto, sono in molti ad attendere una risposta dallo Stato. Quello Stato che non riesce a cambiare una legge del 1933. Quello Stato, che proprio attraverso i suoi funzionari più alti, ha definito i suoi giovani “choosy”. Insomma, le eccezioni ci sono sempre…

RN

Total
0
Shares
5 comments
  1. Io più che una risposta volevo fare una domanda. Ho un problema simile ma non uguale. Sto frequentando una magistrale italiana e sono stato preso per un master in nord-america. Purtroppo il master comincia prima di potermi laureare in Italia. Posso continuare in Italia a distanza (dovrei solo scrivere la tesi). O mi tocca congelare la carriera? Oppure neanche questa sarebbe una soluzione “legalmente” accettabile?

  2. Chiara, ma che bisogno c’era di prendere due lauree??? Non ti ha mica obbligata nessuno. C’è gente molto più intelligente di te che a 19 anni è andata a lavorare in fabbrica perché non aveva papino che la manteneva all’università. In Italia c’è gente che ha due lauree e non sa neanche i congiuntivi. Piangono che non hanno soldi ma passano dieci anni all’università. Ma vergognatevi va!

  3. Io sono allibita dall’ignoranza della risposta di Donna. Ormai questa scusa l’ho sentita troppe volte. “Non sono andata all’università perché i miei non avevano i soldi”. Balle. Forse un tempo non era così, ma ad oggi qualsiasi università mette a disposizione delle borse di studio per i meritevoli. Io vengo da una famiglia che, durante i miei anni di studio, talvolta aveva 10 euro in tasca per far la spesa a fine mese. Ciononostante, essendo una studentessa con merito, non ho mai versato nulla all’università, se non la primissima retta di iscrizione il primo (sui 300 euro, guadagnati durante l’estate). Il fatto che ci vogliano i soldi per fare l’università è soltanto una grande scusa, oppure una falsa paura. La mia migliore amica si è laureata alla Bocconi, e la sua famiglia di certo non poteva permetterselo. Ha trovato i soldi per la prima retta come me, e poi anche lei non ha più dovuto sborsare un centesimo. Fare l’università è un diritto. Così come avere due lauree è un diritto, e non certo una scusa per lavorare. Invece che addurre a situazioni “da papino” (affermazione a dir poco vergognosa), forse sarebbe utile soffermarsi sul fatto che non tutti (per non dire “praticamente nessuno”) avrebbero avuto la costanza e la dedizione di prendere due titoli di studio quinquennali. Io stessa ora sto pensando a questa ipotesi ora che mi sto per laureare alla magistrale, anche se infine dubito che farò questo percorso poiché non posso far aspettare la persona con cui sto ad avere una vita insieme. Ma, potendo, l’avrei fatto sicuramente.

  4. Rispondo all’intelligente commento Via facebook di Felix. Probabilmente mi sono mal espressa: hai ragione tu, é praticamente impossibile fare un università e doversi al contempo mantenere. In quel caso, i soldi per la borsa di studio ti bastano FORSE per 2-3 mesi non di più. Io infatti mi riferivo alla situazione-tipo dello studente che vive ancora a casa con i suoi. In quel caso davvero la borsa di studio é sufficiente. La mia famiglia non aveva la possibilità economica per farmi studiare, eppure quella borsa di studio é stata perfettamente sufficiente. Dentro ci sono stati tutti i libri (considerando poi che la maggior parte li fotocopiavo), l’abbonamento annuale del treno e il pranzo me l’ha sempre pagato l’università. Ed il mio non é un caso isolato, quindi smettiamola con questa diceria popolana secondo cui all’università ci va soltanto chi ha i soldi. Per quanto riguarda il discorso della seconda laurea invece ovviamente ci sono più considerazioni da fare: se da una parte, per i motivi già detti, si potrebbe anche pensare di riuscire a pagare la retta e i libri, d’altra parte il discorso si fa più intricato se bisogna anche mantenersi. O se si hanno altre incombenze: se si convive, se si hanno dei figli…perché fare un università quinquennale significa posticipare molte cose, cose che a 25 anni si fa fatica a posticipaRe ulteriormente.

Lascia un commento
Previous Article

Via Zamboni, l'Alma Mater vende: tremano Lettere e Giurisprudenza

Next Article

Rocco Hunt ospite all'Università Federico II di Napoli

Related Posts