Smart working, due italiani su tre progettano di lavorare dalla casa delle vacanze

Ferie in Smart working. Le nuove opportunità di lavorare a distanza portano a programmare di portare via il computer dalla solita stanza in casa per sistemarlo in un appartamentino affittato in riva al mare o in montagna. Secondo un sondaggio fatto da Airbnb, oltre il 66% degli intervistati sta pianificando per i prossimi mesi di lavorare da remoto lontano dalla propria casa di residenza e di farlo per un periodo piuttosto prolungato.

Le decisioni della politica e le previsioni economiche non fanno perciò che dare impulso a questa tendenza. Il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 12 ottobre indica infatti che, per arginare la diffusione del Covid, nella Pubblica amministrazione il 50% dei dipendenti lavori da remoto. E la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, di recente ha affermato che del 50% dei lavoratori passati allo smart working a causa del Covid, soltanto il 10% ha bisogno di tornare in ufficio.

La possibilità di lavorare senza andare in ufficio aveva già influito sulla pianificazione delle vacanze, con soggiorni mediamente più lunghi (+11.6% la durata media dei soggiorni in Italia a luglio) per conciliare vacanza e lavoro. Adesso, dal sondaggio di Airbnb su 2mila dipendenti d’azienda, per capire quanto e come lo smart working trasformerà il nostro modo di concepire il viaggio nel prossimo futuro, emerge che la maggior parte degli intervistati ha tratto grande vantaggio da questa modalità di lavoro e intende migliorarla.

Tra le motivazioni, le più indicate per il cambiamento sono:
– stare più vicino alla famiglia;
– cambiare ambiente per essere più creativi;
– avere più spazio per lavorare;
– cercare un luogo più attrezzato per il lavoro (con wi-fi più veloce, ad esempio).

Il lavoro a distanza è apprezzato soprattutto perché, dicono le risposte, concede un maggior equilibrio tra vita personale e vita lavorativa, ha un impatto positivo sulla salute psico-fisica e risvolti positivi per l’azienda. La bellezza del luogo da cui si lavora per il 41% ha un impatto sulla qualità del lavoro, per il 33% incide in modo migliorativo sulla produttività e per il 28% aiuta la creatività.

Potendoselo permettere, il 39% vorrebbe lavorare in una casa con vista sul mare, il 20% in uno chalet in montagna, il 13% guardando il panorama di un lago. Ma c’è anche chi vorrebbe un attico in una grande città (7%). Requisito irrinunciabile per fare smart working in tranquillità è che la casa di villeggiatura non sia troppo lontana dalla sede usuale di lavoro, che per il 34% si deve poter raggiungere in giornata. Per il 20% basta spostarsi all’interno della regione di residenza, mentre il 22% indica di non voler andare oltre i confini italiani.

C’è anche chi con la pandemia ha pensato di trasferirsi definitivamente, con il 60% che ha pensato di cambiare vita, e uno su 4 tra questi di farlo optando per la campagna. Il 35% affitterebbe la prima casa a breve o lungo termine, il 16% la lascerebbe vuota e il 7% la lascerebbe ad amici. Secondo Anna Valsasina, psicologa e consulente Risorse umane, che “lo smart working rappresenti una modalità di lavoro con spiccati vantaggi per le aziende e le persone è ormai un dato piuttosto assodato. I primi dati sugli esiti della pandemia elaborati dall’osservatorio Smartworking del Politecnico di Milano – sottolinea l’esperta –  indicano che avere la possibilità di lavorare a distanza fa registrare per le aziende un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, una riduzione del tasso di assenteismo per malattia pari al 20% e una riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici del 30% circa”.

La psicologa tuttavia rileva che “non sempre possiamo definire il lavoro da casa gestito nel periodo del lockdown come realmente smart, perché spesso non ci sono alcune delle caratteristiche essenziali dello strumento, soprattutto la scelta di quando e soprattutto dove lavorare e dovendo nello stesso tempo gestire altre situazioni, come la presenza dei figli in casa”. Nonostante questo, conclude Valsasina, “il sondaggio condotto da Airbnb conferma di fatto le ricerche rispetto ai benefici che le persone associano allo smart working” ed è per questo che “è fondamentale una cultura organizzativa che lavori per risultati, che non si basi sul controllo o sulla rigidità dell’orario di lavoro e che veda la possibilità della persona di definire in modo autonomo un luogo di lavoro anche tipicamente associato ad un momento di vacanza”.  

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