E’ polemica sul mezzo miliardo dei fondi del Pnrr distribuito alle scuole per arginare il fenomeno della dispersione scolastica. Gli esperti convocati dal ministro per mettere a punto misure sulla dispersione scolastica sbattono la porta delusi: così non va.
Ci sono istituti in quartieri difficili e in periferie a rischio che non hanno ricevuto un euro e manca un intervento strutturale rivolto a una comunità educante. “E’ un concetto che i ministeriali di viale Trastevere non hanno, la logica è tutta chiusa dentro le scuole: una cifra così non si era mai vista, fa rabbia che venga data a pioggia senza un progetto organico di almeno tre anni capace di coinvolgere il territorio” scuote la testa Franco Lorenzoni, il maestro fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, centro di sperimentazione educativa.
“Bisogna supportare i bambini e i ragazzi nelle aree povere, lo facciamo da 30 anni con pochi mezzi, ora che sono arrivati esce un decreto che non mette insieme in questa battaglia le scuole con il terzo settore e i Comuni” osserva Marco Rossi Doria, altro maestro di lungo corso dei quartieri difficili, ex sottosegretario all’Istruzione.
Il ministro Patrizio Bianchi li ha voluti nel gruppo di lavoro per il contrasto della dispersione scolastica con Ludovico Albert, Andrea Morniroli, Vanessa Pallucchi, don Marco Pagniello, Chiara Saraceno. Hanno lavorato per alcuni mesi, presentato una dettagliata relazione in vista dei fondi del Pnrr: in tutto,1,5 miliardi, la prima tranche assegnata in questi giorni tramite decreto che deve andare alla Corte di Conti. Ed è sui criteri che gli esperti sbottano: “Non siamo stati ascoltati”.
La lettera al ministro
Lo hanno fatto con una lettera indirizzata al ministro dove si chiede di correggere la rotta: “Vi è ancora l’occasione di evitare il rischio, gravissimo, che la mancanza di indicazioni, fondate sull’esperienza di tante scuole e operatori del civismo educativo, su come produrre, accompagnare e monitorare le azioni per contrastare divari e dispersione possano tradire le stesse finalità del Pnrr reiterando un intervento a pioggia anziché avviare un’azione strutturale di lungo termine come la Unione europea ci chiede”.
Ragiona Lorenzoni: “Il Pnrr è un risarcimento alle giovani generazioni, i ragazzi sono quelli che più hanno sofferto e hanno un assoluto bisogno di sostegno. Noi abbiamo lavorato su ipotesi che privilegiavano, attraverso criteri complessi, le scuole a rischio per costruire intorno reti di accompagnamento. Adesso doveva cominciare il nostro lavoro e invece…”. I componenti del gruppo di lavoro contestano la direzione presa: “È il contrario di quello che l’Europa chiede”. E non è detto che su questo non intervenga la Commissione europea che ha dato come obiettivo su questi fondi il raggiungimento, con iniziative supportate da queste risorse, di almeno 420mila studenti e studentesse. Da riportare in aula, da far diplomare, da recuperare agli studi e alla formazione. Per dare loro un futuro migliore.
Tra i criteri utilizzati (e contestati) per la ripartizione alle Regioni sembrerebbe favorito il Nord, mentre per l’assegnazione alle scuole viene considerata anche la cosiddetta “dispersione implicita” e cioè la percentuale di studenti che in Italiano e Matematica ha conseguito un risultato molto basso nei test Invalsi. E anche in questo caso si rischiano di produrre altre iniquità.
Criteri semplificati
Nella lettera il gruppo di lavoro spiega: “A fronte di criteri per l’assegnazione dei fondi alle scuole abbiamo indicato in un insieme che comprende risultati test invalsi, numero assenze degli alunni, incidenza di alunni stranieri, incidenza di alunni con Bes (bisogni educativi speciali), adulti con basso livello culturale, in possesso di scolarità dell’obbligo o inferiore, presenza di giovani neet, presenza di famiglie ampie (sei componenti o più) e famiglie “potenzialmente bisognose”, il Decreto 170 ha opposto un set molto semplificato di criteri. La semplificazione dei criteri viene implicitamente giustificata con la fretta. Ma l’Ue non chiede questo”. E ancora: il Decreto 170 assegna le risorse scuola per scuola ma non definisce “il chi, il cosa e il come usarle”.
“Caro Ministro – continua il testo- vi è, poi, la questione delle questioni. Come favorire, intorno alle scuole, alleanze territoriali coese e permanenti tra le scuole stesse, gli enti locali, ed il terzo settore su base cooperativa e paritaria curando la manutenzione nel tempo delle comunità educanti sull’esempio delle migliori pratiche già all’opera in ogni parte d’Italia?”.
Gli esperti concordano sulla necessità – come fa il decreto 170 – di indicare il finanziamento scuola per scuola, “così si evita finalmente la procedura per bando, su un tema che suggerisce, con tutta evidenza, di operare non per competizione bensì procedendo per concorde adesione degli attori educativi che, territorio per territorio, possono comporre le comunità educanti. Al tempo stesso pensiamo che il Decreto fa il grave errore di non condizionare la conferma dell’assegnazione dei fondi alla costituzione dell’alleanza territoriale, all’elaborazione condivisa di un progetto d’azione e di miglioramento dell’offerta scolastica che comprenda le annualità 2022-23, 2023-24 e possibilmente 2024-25. Si sarebbe, insomma, potuto e dovuto affiancare subito all’assegnazione delle risorse un insieme definito di cornici, indicazioni operative e regole di ingaggio”.
L’allarme dei sindacati sulla dispersione
Il gruppo di lavoro è stato sciolto, le polemiche rimangono. Al coro si aggiungono i sindacati e i presidi che contestano una distribuzione iniqua. “Ma allora noi che battaglia stiamo combattendo? Facciamo di tutto: i ragazzini dispersi li andiamo a recuperare nelle loro case uno a uno, li staniamo, li riportiamo a scuola. Ma la scuola da sola non basta. E senza finanziamenti viene meno l’ossigeno per interventi importanti” dichiara Stefania Colicelli, preside dell’istituto comprensivo Ristori, la scuola di Forcella a Napoli.
Ci sono scuole in territori poveri che non hanno ricevuto un euro, altre che invece con meno bisogni educativi che hanno avuto i fondi. Ma c’è anche il caso di chi si è dato da fare con i pochi mezzi che aveva a disposizione per recuperare gli studenti che abbandonano: migliorando i risultati alla fine ci ha rimesso nell’assegnazione dei fondi. Insomma, il rischio è che le risorse non vadano a tutti gli istituti più in difficoltà, come sarebbe giusto, ma nemmeno a chi è penultimo. Un pasticcio.
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