È inutile nascondersi dietro un dito: in molti atenei nostrani un buon numero di docenti porta lo stesso cognome. Parenti stretti, legami di sangue: in cattedra c’è il padre, poi il figlio, magari anche il cugino. Ma c’è spazio anche per gli affini, rapporti di parentela collaterali ma pur sempre saldi: cognati e nuore, ad esempio. Un occhio di riguardo viene dato anche agli amici e il quadro complessivo prende forma: la parentopoli in cattedra è una realtà.
Ieri a Cernobbio, il premier Silvio Berlusconi non ha utilizzato mezzi termini per mettere alla berlina il fenomeno, anzi ha cercato un’espressione volutamente “forte” per definirlo: “Il mondo universitario è diventato un sistema di ammortizzatori sociali, in cui ogni professore ha il figlio, il cugino, l’amico del figlio, il cognato che ha la cattedra con l’invenzione del corso di laurea”.
Per fortuna non funziona così dappertutto e – accanto a casi deprecabili e censurabili di nepotismo manifesto, più o meno eclatanti – esiste anche un sistema di buone pratiche e di docenti volenterosi che portano avanti la baracca tra mille difficoltà, spesso dovendo “combattere” in prima persona contro le ingiustizie e i casi acclarati di favoritismo, che penalizzano l’intero sistema e gettano discredito sul corpo docente tout court.
Naturalmente l’affondo del Cavaliere conteneva un sottotesto – non esplicitato – che andava colto tra le righe: l’operato del ministro Mariastella Gelmini (definita dal premier “capacissima e determinatissima”) in tema di Istruzione, Università e Ricerca non si tocca, non faremo un passo indietro sui tagli previsti e –anzi – le misure del governo saranno attuate proprio per contrastare “i baroni”.
Una semplificazione che non è piaciuta a Vincenzo Milanesi, rettore dell’Università di Padova: ateneo appartenente all’Aquis, l’Associazione per la qualità delle università statali che riunisce i più “virtuosi”. Secondo Milanesi: “Generalizzare in modo grottesco le eccezioni, che pure ci sono, serve solo a stordire l’opinione pubblica, creando le premesse per operare tagli indiscriminati che ridurrebbero il sistema alla paralisi, penalizzando anche gli atenei di qualità”.
D’altra parte, estremizzando il concetto e allargandolo anche ad altri campi, il mondo accademico non sembra essere il caso più lampante di microcosmo governato dalla logica della cooptazione, in cui si viene scelti dall’alto e – spesso – considerando molto di più l’appartenenza che non il merito. Dalla cattedra universitaria al seggio in Parlamento o al posto nel Cda di una banca, insomma, il passo è breve.
Manuel Massimo