Napoli, prof della Parthenope dovrà restituire all’università 2,1 milioni di euro

L’incarico assunto dal docente era incompatibile con l’insegnamento

Due milioni e 170 mila euro. È la cifra che il professore Vincenzo Sanguigni, commercialista con studio a Roma, dovrà versare all’università Parthenope, dove insegna, per avere svolto incarichi professionali incompatibili con il suo ruolo di docente a tempo pieno.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, che ha dichiarato inammissibile la richiesta di Sanguigni di revoca della sentenza emessa dallo stesso tribunale a gennaio 2023, la quale aveva confermato il giudizio del Tar Campania ed aveva rigettato il ricorso del docente contro l’ingiunzione di pagamento. Sanguigni sosteneva che il Consiglio di Stato fosse incorso in errore perché aveva omesso di rilevare che era stato assolto per le medesime vicende dalla Corte dei Conti. Secondo i giudici, però, l’esito del giudizio contabile non precludeva la possibilità alla Pubblica amministrazione, datrice di lavoro, di agire “per il recupero dei compensi percepiti dal dipendente per incarichi svolti e non previamente autorizzati”. Confermata, dunque, la sentenza di gennaio 2023.

La sentenza

 “Il professore Sanguigni — scrivono nero su bianco i giudici amministrativi — nell’arco temporale decorrente dalla sua nomina a professore straordinario, non poteva nutrire alcun affidamento sulla propria posizione di docente con impegno a tempo definito, anziché a tempo pieno, avendo egli trasmesso all’Università Parthenope in data 13 gennaio 2005, a mezzo fax, due moduli manoscritti e sottoscritti con l’opzione per il regime a tempo pieno». E incalzano: «Non sono credibili le giustificazioni fornite sul punto dall’appellante. La qualità della parte, invero, non consente di aderire alla tesi dell’errore del docente, non essendo verosimile che egli non si sia reso conto del significato e del valore dei moduli, che andava a compilare in forma autografa. Vi è da aggiungere che l’interessato, anche dopo che erano insorti i contrasti in ordine alla sua opzione o meno per il tempo pieno, non risulta aver mai impugnato né il decreto rettorale numero 13/2005 e neppure il Decreto Rettorale numero 348/2008, sebbene questo avesse confermato il suo inquadramento nel regime a tempo pieno. Solo nel 2015, quindi a distanza di dieci anni dal primo decreto e di sette anni dal secondo, egli ha presentato un’istanza di autotutela, rigettata dall’Università”.

“Da quanto finora esposto emerge che il comportamento del docente non è stato conforme ai suindicati doveri di lealtà e correttezza. Egli si lamenta della condotta tenuta dall’Università nei suoi confronti, ma poi pretende che i moduli da lui sottoscritti e inviati all’Università il 13 gennaio 2005 (data dell’effettiva assunzione in servizio), contenenti l’opzione per il tempo pieno da lui compilata di persona, fossero privi di valore giuridico e che addirittura la stessa Università li abbia considerati come se non esistessero, senza peraltro offrire alcun elemento che suffraghi una simile tesi, la quale, per vero, trova confutazione in tutti gli atti di causa”.

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