Alla fine, dopo otto anni di porte in faccia, chiuse, mai sbattute, di risposte evasive successive a incontri in università con i rispettivi avvocati – “lei ha ragione, ma è passato troppo tempo” -, il ricercatore Giambattista Scirè, 44 anni, ha deciso di scrivere al presidente della Repubblica. E di raccontare anche a Sergio Mattarella la sua storia di studioso di Storia contemporanea a cui è stato preferito – per un ruolo da ricercatore a tempo determinato che, di fatto, ha portato nel corpo dell’università la vincitrice del bando – un’architetta. Una lunga storia di vittorie giudiziarie – anche penali – e sconfitte professionali: Giambattista Scirè in queste otto stagioni è uscito completamente dal circuito universitario del Paese, ha vinto dispute nei tribunali amministrativi di primo e secondo livello, ma ha smesso di pubblicare. Di lavorare.
Bene, ventitré giorni dopo aver scritto al presidente, Scirè, appena uscito dall’ultimo colloquio con il rettore dell’Università di Catania, mercoledì scorso, ha acceso il computer e avvistato una mail. Una Pec, meglio. In neretto. Proveniva dal Segretariato generale della presidenza della Repubblica. Il direttore dell’Ufficio affari dell’Amministrazione della giustizia, Stefano Erbani, gli aveva risposto. In nome del presidente. E lo aveva fatto utilizzando quelle due parole usate dal ricercatore, “trasparenza e merito”, che il 10 novembre 2017 erano diventate il titolo dell’associazione che lo stesso Scirè aveva contribuito a fondare e che tutt’oggi, dopo alcune difficoltà, guida.
Nella Pec dal Quirinale era scritto questo: “Il Capo dello Stato segue con grande attenzione le questioni da lei evidenziate nella convinzione che, anche nel settore universitario, occorre sempre seguire i principi di legalità e trasparenza. Le università italiane possono vantare livelli di eccellenza in vari campi del sapere e riscuotono i migliori risultati solo laddove si fondano sull’autonomia e libertà dell’insegnamento, guidate esclusivamente dal principio del merito. Augurandole di trovare riscontro alle sue aspettative nel corso della carriera universitaria, le porgo i più cordiali saluti”.
Dice ora Giambattista Scirè: “Il Presidente Mattarella ci ha voluto far sapere che è al nostro fianco, gli atenei e i dipartimenti ora sanno che il Capo dello Stato auspica e raccomanda loro un cammino trasparente”.
E’ interessante notare come nell’arco dei ventitré giorni trascorsi tra la lettera di Scirè e la risposta del Quirinale, l’Università di Catania – decapitata in sette dipartimenti da una recente inchiesta della Procura abbia fissato un nuovo incontro con Scirè, il primo del neorettore Francesco Priolo.
L’ordinario di Fisica della materia fin qui si era distinto per una campagna elettorale, la scorsa estate, che aveva sostanzialmente ignorato lo tsunami giudiziario abbattutosi sull’ateneo. A Scirè, però, Priolo mercoledì scorso ha regalato parole inedite dichiarando la sua volontà di cambiare registro rispetto alle tre precedenti gestioni dell’ateneo: “Lei è una risorsa per l’università e io mi impegno a darle la possibilità di tornare a lavorare in ateneo”. Passando quindi al “tu”, il rettore Priolo ha detto all’interlocutore: “Sei un ricercatore proprio come me e quello devi tornare a fare”.
La strada possibile, ora, per la soluzione di questa vicenda diventata emblematica all’interno dell’accademia italiana è quella della proroga per Scirè di un contratto (biennale) come ricercatore, appunto, in Storia contemporanea. Il rettore si è impegnato a scrivere, rapidamente, una lettera al ministero dell’Università e Ricerca, oggi guidato da Gaetano Manfredi.
repubblica
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