L’appello contro gli atenei israeliani divide la comunità accademica

Quattromila docenti hanno chiesto di interrompere i rapporti con le università israeliane. L’opposizione di chi vede il boicottaggio come una grave violazione della libertà accademica

La guerra tra Israele e Hamas divide le università. La scorsa settimana circa quattromila tra docenti e ricercatori di tutti gli atenei del paese hanno sottoscritto una “richiesta urgente”, indirizzata alla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) a cui chiedono “di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane”.

La richiesta di boicottare gli atenei israeliani ha acceso una polemica feroce nel mondo universitario. I 4mila docenti sono però una minoranza in una comunità accademica che conta circa 100mila professori tra assunti, precari, collaboratori e assegnisti di ricerca. In molti tra i docenti si sono esposti disconoscendo la richiesta dei loro colleghi. Secondo la professoressa Baraggia, docente di Diritto pubblico comparato presso l’Università statale di Milano, la chiusura nei confronti dell’accademia israeliana, oltre a impedire lo sviluppo di un pensiero critico, rappresenta l’opposto della “neutralità istituzionale” che un’università dovrebbe avere perché sia davvero libera, valore che invece è ben presente nel comunicato della Crui, pubblicato il 20 ottobre, due settimane dopo l’inizio delle ostilità e che la Professoressa Baraggia sottoscrive appieno. La Conferenza ha espresso “vicinanza a tutti gli studenti provenienti dalle zone di guerra”, senza distinguere tra Israele e Palestina, e “ribadito che gli atenei sono luogo di incontro e di dialogo, nonché di sviluppo di pensiero critico e razionale per la costruzione di una pace”.

Il boicottaggio nei confronti dello stato ebraico non è una novità. In Italia, ad esempio, alcune organizzazioni lo praticano dal 2005, dopo che un gruppo di attivisti palestinesi ha deciso di utilizzare e ha diffuso gli strumenti di lotta delle campagne degli anni Novanta contro l’apartheid in Sudafrica. E il boicottaggio non è solo di tipo economico, ma riguarda tutti i settori del sistema da attaccare, tra cui anche quello accademico.

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