Esperienza, passione, collaborazione. Ecco l’intervista a Stefano Varano, di Roma Makers
Di cosa si occupa il vostro Lab e qual è la vostra filosofia?
Siamo nati da un gruppo di 20 persone itineranti di differenti professionalità; ingegneri, architetti, designer, musicisti, hobbisti. Volevamo iniziare a costruire progetti insieme. Avevamo bisogno di spazio: siamo usciti dal nostro garage e abbiamo deciso di aprire mettendo insieme le risorse di 4 persone. Non abbiamo aspettato le istituzioni. Nel frattempo, con eventi e piccoli progetti, avevamo anche fatto crescere una comunità di interessati.
Quello di cui avevamo bisogno noi, e poi si è rivelato indispensabile anche per altri, è l’accesso ad una piazza dove diverse persone di diverse esperienze e professioni potessero collaborare e mettere le basi per progetti ibridi, e a volte realizzare un prodotto.
Siamo parte della rete internazionale, ogni laboratorio ha caratteristiche in base a chi lo frequenta, e lo anima. I nostri settori principali in cui ibridiamo le nuove tecnologie sono musica, arti interattive (e internet of things), moda (con wearable) e lavorazioni artigianali.
Il più grande impegno è nella formazione: abbiamo aperto vari spazi a Garbatella, nei pressi delle Università, nel centro di Roma e nei quartieri popolari.
La formazione è cruciale in questo periodo, c’è ancora poca specializzazione in questo settore e anche chi ha studiato per questo, arriva da noi e finalmente può fare pratica, dato che le università non offrono più questa opportunità.
Da noi si cerca di applicare un approccio opensource, siamo nati, infatti, come associazione di promozione sociale. Condividiamo ognuno un po’ del proprio sapere professionale, questo si traduce in una forte comunità, che si frequenta dal vivo e nel virtuale. Quindi all’esterno possiamo offrire supporto a progetti di diversa natura e offrire soluzioni non convenzionali.
Oggi siamo nell’epoca dei Cervelli in Fuga. Perché avete deciso di rimanere in Italia e quali sono i vostri obiettivi?
Alcuni di noi sono dei cervelli rientrati, e comunque lo spirito che ci anima viene dal sentirci parte di un mondo complesso: siamo immersi in una rete di relazioni più grande di noi e questo ci permette di applicare e sperimentare eventi, azioni, pratiche attive nel nostro territorio, dopo averle viste all’estero.
Roma ha molte risorse, ma ancora bloccate: il nostro spazio aperto a piazza dove incontrarci e condividere dà molto slancio alle persone per iniziare progetti e mettere in pratica nuove idee. Il laboratorio nella fase di avvio per sostenersi si concentra nella formazione e nelle consulenze. L’obiettivo è strutturare il concetto di incubatore di progetti hardware, nati da esigenze reali e sviluppati da diversi professionisti e hobbisti nel territorio nazionale.
Inoltre lanceremo quest’anno una sezione dedicata alla biologia, perché è possibile produrre materiali plastici, pigmenti e sostanze utili al laboratorio, tramite esperimenti condivisi da altri laboratori.
Nello specifico, Roma come ha reagito alle novità portate dai Makers? Studenti, docenti ed esperti sono dalla vostra parte?
In generale abbiamo visto una risposta molto corposa, da parte di curiosi e di professionisti. Alcuni, purtroppo, la intendono ancora come una scorciatoia per risparmiare e realizzare i propri progetti.
Gli studenti universitari, ad esempio, trovano nel nostro laboratorio un posto dove fare pratica della teoria studiata nei corsi di laurea: frequentano i nostri corsi pratici, e collaborano con altri professionisti. Un liceale ha trovato una startup dove lavorare oppure, ancora, un pensionato si è fatto aiutare a finire un progetto da uno studente.
La parola Makers non indica una professionalità specifica: non esiste un albo o un corso per diventarlo. Sta al proprio senso critico accettare di entrare in un progetto, condividere supporti, idee, attrezzature. Il progetto Makers, come lo intendiamo noi, è un approccio mentale ai problemi.
Raffaele Nappi
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