Innovazione certificata: ponte tra università e imprese

Capacità di innovazione, come misuratore del rendimento aziendale. Circolo virtuoso tra università, enti di ricerca e aziende che mira a far emergere le capacità di innovazione delle persone e delle imprese. Ecco alcuni dei propositi,  della neonata AICTT. Ne abbiamo parlato con il suo presidente, Stefano De Falco, responsabile dell’Ufficio “Ricerca e Trasferimento Tecnologico” del Polo delle Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II

Come nasce AICTT,- Associazione Italiana Cultura Trasferimento Tecnologico? L’Associazione è nata, su mia iniziativa, attraverso il coinvolgimento di operatori del settore (lato Università e lato imprese) in risposta ad una serie di esigenze molteplici incontrate durante il mio percorso professionale.

Fattore catalizzatore dell’impresa, la mia lunga militanza in un’altra associazione, l’AICQ, in ambito qualità. Sono coinvolte tutte le università campane? Si prevede uno statuto federato, ossia la possibilità di aprire altre sedi autonome in altre regioni che facciano capo alla sede centrale nazionale e alla costituzione di partnership con gli atenei italiani, magari attraverso reti quali Netval -Università italiane per la valorizzazione della ricerca e CRUI.

Allo stato attuale, una sede in via di costituzione, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nella persona del Prof. Claudio Maria de Capua. Anche su Roma è in via di costituzione un’altra sede federata. Dopo il periodo di start-up, prevediamo di avere una rappresentatività sull’intero territorio nazionale. Si sta avviando anche un processo di internazionalizzazione.

Quale è l’obiettivo cardine dell’associazione?

Due, le finalità prevalenti. Da un lato, rispettare la mission tipica della natura associativa, ossia la promozione di scambi culturali e di iniziative sul tema dell’innovazione e dall’altro, mediante un approccio bottom-up (partendo da esperienze sul campo per arrivare ad una loro astrazione che le modelli), di costituire un sistema normativo che certifichi l’innovazione, così come è accaduto per le norme ISO.

La regolamentazione della ricerca, è un fenomeno storicamente millenario. Basti pensare ai tempi dei Fenici, come ci fossero ispettori che mozzavano la mano a chiunque violasse gli standard stabiliti.  Ricerca di un metodo che valuti l’innovazione, dunque? L’intenzione è quella di fornire uno strumento di certificazione, denominato RTA (Rendimento Tecnologico Aziendale) per il quale è in corso il deposito del marchio sia in lingua italiana che inglese.

Non si intende produrre l’ennesima certificazione, per appesantire la burocrazia aziendale, né si mira ad una verifica delle attività progettuali ex post, ma misurare in modo qualitativo e quantitativo, mediante un panel di indicatori, la capacità delle imprese di generare innovazione ed il rendimento con cui lo fanno.

Quali vantaggi porterebbe questo tipo di certificazione?

Oltre l’utilità intrinseca della valutazione, potrebbe essere utilizzata come leva per l’accesso al credito, attraverso un accreditamento della certificazione presso il sistema bancario, e per la comunicazione istituzionale. Si innesca così, un circolo virtuoso per il paese, scaturito dall’opportunità di disporre di imprese più innovative e dalla valorizzazione dell’offerta tecnologica dei partner istituzionali di ricerca.

In che rapporto vi ponete, rispetto ai distretti tecnologici, esistenti sul territorio italiano?

I distretti tecnologici, cosi come i parchi scientifici, le associazioni di categoria, le università ed i centri di ricerca, sono tutti, dal nostro punto di vista, preziosi facilitatori delle attività di matching tra chi produce conoscenza, chi la applica e chi ne fruisce.

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