Erc consolidator grants, la ricerca italiana perde terreno: siamo 12esimi su 24 Paesi

I ricercatori italiani si sono aggiudicati in tutto 23 borse di studio europee ma di questi solo 7 lavorano da noi I nostri laboratori sono sempre meno competitivi a causa del sotto finanziamento cronico: con una spesa pari all’1,35% del Pil, siamo il fanalino di coda dell’Unione

Italia dodicesima su 24 Paesi

I laboratori italiani perdono terreno. Nell’ultima tornata di borse europee per la ricerca, dei 301 progetti finanziati dalla Commissione europea, solo 7 verranno portati a termine in Italia. Meno della metà dell’anno scorso quando i nostri atenei e centri di ricerca si erano aggiudicati ben 15 borse. Parliamo degli «Erc consolidator grants», finanziamenti da circa 2 milioni di euro a testa assegnati a ricercatori «senior» con almeno 7 anni di esperienza dopo il Phd. Quest’anno siamo stati superati anche dalla Svezia, dal Belgio, dalla Danimarca e dalla Norvegia, precipitando dall’ottavo al dodicesimo posto. Mentre contemporaneamente i laboratori tedeschi hanno fatto un vero exploit: approfittando dell’effetto Brexit, hanno sorpassato gli inglesi piazzandosi in prima posizione con 52 borse (l’anno scorso se ne erano aggiudicate 38). Stabile in terza posizione la Francia che però vede affluire nelle proprie casse molti più soldi dell’anno scorso visto che ha ottenuto il finanziamento per 43 progetti, contro i 32 del 2018.

Ricercatori italiani col passaporto in tasca

Certo, il risultato dei ricercatori con il passaporto italiano è decisamente più lusinghiero. I nostri scienziati e le nostre scienziate sono quarti in Europa su 37 diverse nazionalità rappresentate. Ma dei 23 progetti presentati da ricercatori italiani e approvati dalla Commissione, ben 16 verranno portati a termine in laboratori stranieri. E comunque l’anno scorso era andata decisamente meglio. Gli italiani erano arrivati secondi, dietro i tedeschi ma davanti a francesi e inglesi.

Fuga dei cervelli

Benché la mobilità dei ricercatori sia un fatto fisiologico quasi ovunque, nessun altro Paese europeo assiste a una simile emorragia di talenti. La Germania per esempio su 55 progetti assegnati a ricercatori tedeschi ne trattiene la maggior parte in casa (35). La Francia è ancora più sciovinista: dei 33 ricercatori premiati dalla Commissione appena sette lavorano fuori. L’Italia invece è riuscita a trattenerne solo 7 che lavorano rispettivamente alla Sissa di Trieste, all’IIT di Genova, alla Normale di Pisa, all’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), al Politecnico di Milano, all’Università di Modena e Reggio Emilia e a Ca’ Foscari (Venezia).

Scarsa competitività dei laboratori nostrani

A renderci poco competitivi non è solo la fuga dei nostri cervelli all’estero ma la difficoltà dei laboratori italiani ad attrarre talenti dall’estero: quest’anno dei sette progetti che verranno svolti da noi nessuno è in capo a un ricercatore straniero. La scarsa competitività dei nostri laboratori dipende da decenni di sotto finanziamento cronico. Come si legge anche nell’ultimo rapporto Ocse l’Italia spende in istruzione universitaria lo 0,6 per cento del Pil (francesi e tedeschi quasi il doppio in proporzione al Pil) e in ricerca e sviluppo l’1,35 per cento: siamo – anche a causa della latitanza del tessuto industriale delle piccole e medie imprese – fanalino di coda in Europa dove la spesa media si aggira attorno al 2 del Pil.

corriere.it

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