Un divario di genere in tema di indirizzi di studio e di possibilità di carriera. Ad essere “penalizzate” nei percorsi universitari sono soprattutto le donne. È quanto emerge, in maniera evidente, dal “Rapporto Anvur 2023- Analisi di genere”, redatto dalla professoressa Alessandra Celletti, Vice Presidente ANVUR, in collaborazione con le dottoresse Paola Costantini, Emilia Primieri e Sandra Romagnosi ed il supporto del Dottor Daniele Livon, Marco Malgarini, Irene Mazzotta e Scipione Sarlo.
L’indagine
I risultati dell’indagine sono stati resi noti oggi presso la Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI), alla presenza del Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini. Un focus attento e puntuale che illustra come le scelte accademiche fra le donne si orientino prevalentemente verso facoltà umanistiche, artistiche, sociali e sanitarie a fronte di scienze ingegneristiche, tecnologiche e matematiche-informatiche – le cosiddette STEAM – preferite dai maschi. Tuttavia a parità di expertise, le donne restano un passo indietro nel ricoprire posizioni apicali; seppure la loro presenza sia aumentata nel corso degli ultimi anni, ancora poche raggiungono ruoli prestigiosi.
Il rapporto presenta un “panorama” che conferma la propensione delle donne alla formazione di grado universitario, a partire dal numero di immatricolazioni che dal 2011 al 2021 superano quelle maschili di oltre 30.000 unità, con una percentuale femminile di immatricolazioni del 55% invariata negli ultimi anni.
Aumento delle laureate donne
Analizzando il dato di genere degli studenti immatricolati per tipo di corso di studio e per anno Accademico, si evince nelle lauree magistrali a ciclo unico una flessione della presenza maschile (dal 37,5% nell’a.a. 2011/12 al 34,4% nell’a.a. 2016/17 e infine al 31% nell’a.a. 2021/22) a fronte di un dato femminile in costante aumento.
I dati confermano, poi, l’incremento graduale e costante della componente femminile nelle lauree biennali e, in particolare, nei percorsi di studio di durata maggiore (lauree magistrali a ciclo unico), come confermato anche dal numero di iscritti con un aumento della quota femminile nelle lauree magistrali a ciclo unico dal 61,4% dell’a.a. 2011/12 al 66,9% dell’a.a. 2021/22.
Discipline STEAM ancora con divario di genere
Qualcosa cambia invece nei corsi post laurea che non fanno registrare sensibili differenze tra la componente maschile e quella femminile per dottorandi e assegnisti di ricerca, rispettivamente del 52,2% e del 47,8% nell’a.a. 2021/22, con un sorpasso degli uomini rispetto alle donne: la tendenza di decrescita della componente femminile dal 2011/12 fino al 2020/21 ed il contestuale incremento del numero di uomini, ha portato “eccezionalmente” alla perfetta parità di genere solo nell’a.a. 2017/18.
In ultimo, rispetto alle diverse macro-aree disciplinari, come già osservato anche a livello nazionale, la percentuale maggiore di donne iscritte, con un dato pressocché stabile negli anni 2018-2021, riguarda le discipline legate alle Scienze dell’Educazione, quelle di ambito umanistico e sociale (Art and Humanities) e delle Scienze mediche. Diversamente dai dati nazionali si osserva, invece, dal 2018 al 2021, una percentuale femminile superiore a quella maschile nelle Scienze naturali, Matematiche e Statistiche (56% circa in Italia rispetto al 50% circa in Europa).
Docenti ordinari ancora uomini
Il gap di genere si mantiene, come annunciato, anche in ambito di personale docente e di carriera. Nei dieci anni tra il 2012 e il 2022, emerge in generale e per tutti i ruoli ricoperti una prevalenza di uomini rispetto alle donne, specie tra i professori ordinari.
Rispetto al 2012, si osserva nel 2022 un incremento del numero di donne tra i professori ordinari in tutte le aree geografiche, specialmente nel Sud (+8,3%), nel Nord-Est e nelle Isole (+7,4%) e fra i Professori Associati nel Nord-Est (+8,5%), nel Centro e nel Sud (+7,5%). All’opposto fra i Ricercatori, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, la percentuale delle donne è in leggero calo al Nord (Est e Ovest) e al Centro, con un trend invece in lieve crescita al Sud (+2,4%) e nelle Isole (+1,7%).
Dati che ben descrivono il fenomeno del glass ceiling, che al pari di altri ambiti aziendali e produttivi, appare evidente in ambito accademico: un insieme di barriere, all’apparenza invisibili, di tipo sociale, culturale e psicologico che pregiudicano il conseguimento di pari diritti e opportunità di progressione, avanzamento di carriera in ambito lavorativo e uso efficiente delle risorse lavorative, a sfavore della donna.
Il confronto con l’Europa
Confrontando la situazione dell’Italia con il resto d’Europa, il rapporto rileva una percentuale di donne iscritte dal 2013 al 2021 nell’educazione terziaria, mediamente superiore al 53-54% con punte pari o superiori al 60% in paesi quali la Svezia e l’Islanda. In Italia il dato è superiore alla media europea (55,9% vs 54,2% nel 2021), tuttavia in decrescita di poco più di un punto percentuale dall’anno 2013 al 2018 (dal 57,1% al 55,5%) per stabilizzarsi negli ultimi tre anni osservati intorno al 55-56% circa. Egualmente superiore in Italia rispetto all’Europa è la presenza femminile nelle Scienze ingegneristiche, con un divario tra le due componenti di genere pari al 2% circa.
Si osserva poi una variazione percentuale minima, dal 2018 al 2021, nelle aree delle Scienze agrarie e veterinarie e di quelle delle Scienze economiche e giuridiche. Resta, infine, piuttosto ampia la differenza, per tutti gli anni considerati, tra la percentuale di donne iscritte in Italia in ambito di ICT rispetto alla percentuale europea (15,1% in Italia vs 19,7% in Europa nel 2021), sebbene a livello nazionale ed europeo, si osservi un progressivo e costante incremento della percentuale femminile.
Infine, per quanto riguarda la composizione per genere del personale docente universitario, in tutti i Paesi, eccetto la Lettonia, la percentuale di donne ha subito un incremento dal 2013 al 2021 sebbene con una forbice dei valori piuttosto ampia, intorno al 6% circa per la Slovenia, la Serbia e Malta: al 3,5% per altri e di poco superiori ad un punto percentuale per otto paesi, compresa l’Italia.
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