Lo scorso 6 giugno il ministro Stefania Giannini ha firmato il decreto con i criteri di ripartizione del Fondi di Finanziamento Ordinario. Le reazioni da parte del mondo universitario, però, non si fanno aspettare. E anche se i 6,9 miliardi destinati a finanziare il sistema universitario quest’anno arriveranno agli atenei con largo anticipo, i rettori non ci stanno. «Io dico che con questi numeri il ministro Giannini non poteva fare di più ma la coperta è ormai davvero troppo corta – dice il presidente della Conferenza dei rettori italiani Stefano Paleari al Corriere della Sera-. L’impostazione generale è positiva: in particolar modo il peso relativo della quota premiale e del cosiddetto costo standard” (che punta ad agganciare la dote a cui ha diritto ciascun ateneo al numero di corsi di laurea che ha acceso, a quanti sono i suoi studenti e docenti e al rapporto fra gli uni e gli altri, ndr).
Alle Università, però, mancheranno 100 milioni di euro nel 2016, “Ma quest’anno le università italiane perderanno altri 87 milioni, che diventano quasi cento se si considerano i soldi che sono stati stanziati per aumentare il numero delle borse di specializzazione medica: soldi che saranno pescati dal capitolo borse di studio post-universitarie, dottorati e assegni di ricerca, mentre i tagli annui accumulati a partire dal 2009 sono di oltre 800 milioni di euro”.
Una vera e propria emorragia, considerando il fatto che 6 anni fa il FFO rappresentava lo 0,49 % del PIL. Oggi ne rappresenta lo 0,42 %. In Francia siamo all’1 %, in Germania allo 0,93 %.
“Abbiamo 12 professori ordinari con meno di 40 anni e squilibri che si stanno accumulando. Ogni anno sforniamo 10 mila dottori di ricerca e assumiamo 1.000 ricercatori – continua Paleari -. Ma che senso ha formare i nostri giovani, il nostro capitale umano fino al dottorato e poi perderne 9 su dieci per strada?”.
Il presidente della Crui ci tiene soprattutto a difendere il principio del costo standard per studente: «Dai dati raccolti infatti risulta falso che esso penalizzi le università su base territoriale, come alcuni temevano dando per scontato che negli atenei del Sud ci fossero più dipendenti in rapporto agli studenti che al Centro e al Nord, come succede in altri settori della pubblica amministrazione, dalla Sanità agli enti locali. Semmai quello che crea disparità fra il Nord e al Sud è il diritto allo studio. Io sono un ingegnere – conclude Paleari – e noi siamo abituati a lavorare sui valori assoluti ma anche sugli ordini di grandezza. Bene, io dico a questo governo che se la Buona Scuola costa 3 miliardi l’anno e la sentenza della Consulta sulla riforma delle pensioni ne costerà più di due, a noi basterebbero 300 milioni per poter raddoppiare il numero di ricercatori portandoli a duemila e aiutare a studiare tutti quelli che lo meritano. Perché quella per il diritto allo studio è la madre di tutte le battaglie: da qui passa l’unità incompiuta del Paese».
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