Europa, metà laureati sono donne ma solo il 33% si dedica alla ricerca

I dati della ricercatrice Stefania Boccia pubblicati su The Lancet lascinao pochi dubbi: la ricerca non è donna

Le donne rappresentano circa la metà dei laureati e dei dottorati in Europa, ma abbandonano progressivamente la carriera accademica, arrivando a costituire appena il 33% della forza lavoro nel mondo della ricerca, e solo il 26% dei professori ordinari, direttori di dipartimento o di centri di ricerca. La situazione peggiora ulteriormente nelle facoltà scientifiche (cosiddette Stem – Science, Technology, Engineering, Mathematics). Infatti, se per le discipline umanistiche le donne occupano più del 30% delle posizioni più alte della carriera accademica, il dato scende al 22% per le scienze naturali e al 17,9% per l’ingegneria e la tecnologia. Anche l’Italia risulta ancora indietro sulla parità di genere nel mondo della ricerca, collocandosi terzultima in Europa, con solo il 17% di donne occupanti i ruoli più alti nella ricerca.

La ricerca

Sono alcuni dei dati che emergono da uno studio pubblicato sulla rivista ‘The Lancet Regional Health – Europe’, a firma di Stefania Boccia, professore ordinario di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, Campus di Roma e vice direttrice scientifica della Fondazione Policlinico universitario A. Gemelli Irccs; Sara Farina, medico in formazione specialistica presso la Sezione di Igiene della Facoltà di Medicina e chirurgia, e Raffaella Iafrate, professore ordinario di Psicologia sociale alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, Campus di Milano, e pro-rettrice delegata del rettore alle Pari opportunità.

Le barriere incontrate dalle donne nel mondo della ricerca sono svariate – riporta la Cattolica in una nota – a cominciare dal pesante pregiudizio che persiste nei confronti della donna che si dedica alla scienza. Tuttavia, esistono anche difficoltà legate al mancato riconoscimento del lavoro femminile, come testimoniano il persistente divario salariale tra uomini e donne, soprattutto nel contesto privato, la presenza di solo il 29,8% di nomi femminili tra gli autori di articoli scientifici e la mancanza di programmi di mentorship dedicati alle donne, che le supportino sia sul piano personale che nel raggiungimento e nel mantenimento di obiettivi ambiziosi, come ricoprire ruoli di leadership. Resta infine l’ostacolo più difficile da abbattere, che risiede nello scontro tra gli importanti oneri lavorativi del ricercatore e le responsabilità familiari, come accade pure in altre professioni e che impatta in maniera sproporzionata sulle donne, soprattutto dopo la maternità.

“Perdi di talenti nel mondo accademico”

“Questo comporta una perdita di talenti nel mondo accademico, ma anche una perdita del punto di vista femminile che potrebbe aggiungere idee, innovazione e creatività preziose nei team di ricerca. Inoltre, la scarsità di modelli e mentori femminili di successo in posizioni di rilievo ha un impatto negativo anche sulla fiducia e sull’ambizione delle donne nel perseguire una carriera accademica”, afferma Boccia.

Con l’obiettivo di creare un ambiente accademico equo e inclusivo – ricorda la nota – il programma Horizon Europe dell’Ue ha stabilito un piano di gender equality in cui l’uguaglianza di genere rappresenti un pilastro fondamentale nel mondo della ricerca. In linea con questa iniziativa, anche molte università europee si stanno allineando con la realizzazione di piani di ateneo. “In particolare – sottolinea Iafrate – in Università Cattolica è stato avviato un processo di razionalizzazione e ottimizzazione delle azioni in ambito pari opportunità, attraverso la creazione di una task force di tutte le componenti accademiche, amministrative e studentesche, che a diverso titolo sono coinvolte sul tema delle pari opportunità. Sono attivi, infatti, il Gep Team e la Gep Unit, il tavolo 7 del Piano strategico d’ateneo dedicato alle Pari opportunità e il Comitato Pari opportunità (Cpo).

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